“Io amo il mio lavoro”. Le migliori storie d’amore sono spesso tormentate e quella di Roberto Spatola con l’architettura, anche se a lieto fine, ha vissuto momenti faticosi. “Quando ti iscrivi all’università, sei troppo piccolo per capire che il lavoro sarà qualcosa che ti rimarrà tatuato addosso per sempre. Poi le cose cambiano”, spiega. Palermitano, 36 anni, ha lasciato le rive del mare della Sicilia per quelle del Lago di Lugano, in Svizzera, dove si è trasferito da qualche mese insieme alla fidanzata Eliana. Nonostante l’entusiasmo con cui si è sempre dedicato al “suo amore”, a casa si è scontrato con l’indifferenza: “Ti laurei e sei pronto a fare esperienza. La cosa diventa frustrante però quando ti accorgi che la tua professione non arriva ad essere un lavoro”. Già, perché un lavoro prevede una retribuzione: a Palermo, invece, le cose andavano diversamente.

“Siccome il lavoro intellettuale non può essere quantificato, spesso mi sentivo dire ‘ti devo pagare per due linee?’. Oppure mi capitava di finire un progetto ed essere pagato con due anni di ritardo. O di capitare in studi pronti a sfruttare i giovani offrendo in cambio ‘l’esperienza’”. Dove questo si traduce con lavoro “di manovalanza che si può pagare meno, e dove non si pensa invece all’innovazione che potrebbero apportare”. “E se qualcuno prova a chiedere qualcosa in più – spiega – si viene allontanati, pronti a far entrare qualcun altro”. Tutte esperienze accadute dopo la laurea o durante la collaborazione con la madre, anche lei architetto, con cui aveva aperto uno studio associato: “Nove anni fa eravamo carichi di speranze, in un periodo in cui la crisi ancora non c’era, poi abbiamo sbattuto la testa contro la mentalità del ‘lavoro che non si paga’”.

Ma Roberto non è tipo da piangersi addosso. Era determinato a coronare il suo sogno e deciso a giocare tutte le sue carte: “Ho iniziato ad usare un programma per architetti che mi aveva interessato durante gli studi e ho notato che non c’era nessuno che lo insegnasse in Sicilia. Così l’ho approfondito da autodidatta, attraverso i manuali e con internet – racconta – e poi ho contattato la casa produttrice, offrendomi come istruttore”. Un lavoro che lo porta a viaggiare per tutta l’Italia, dove si scontra con una mentalità “malata” che pensava risiedesse solo sulla sua bella isola: “Mi sono accorto che l’atteggiamento che tanto odiavo in Sicilia era lo stesso per tutto lo stivale, così ho cominciato a guardare altrove, in luoghi dove mi sarebbe piaciuto vivere anche da architetto: Londra, Berlino, New York, Melbourne. In tutte queste città, però, senza almeno un contatto iniziale non è facile trovare lavoro. L’unico contatto che avevo era quello di un negozio dove avevo insegnato il programma a Lugano. Lì mi hanno detto ‘non cerchiamo nessuno, ma uno come te non vogliamo farcelo scappare’”.

Così ha iniziato la sua avventura in Svizzera. “Ho iniziato come designer. Quello, però, non era un lavoro che sentivo mio così ho sentito l’esigenza di fare altro e dopo un po’ ho conosciuto un architetto che cercava un project manager”. Abituato alla mentalità nella quale era cresciuto “mi sono proposto come collaboratore per aiutarli con la grafica”. Ma loro cercavano proprio un architetto e, dopo aver valutato il suo curriculum, lo hanno contattato. “Io però continuavo a non fidarmi – spiega – pensando alle mie esperienze precedenti non volevo abbandonare un lavoro ‘sicuro’ per fare una prova di tre mesi, al termine della quale magari sarei rimasto senza nulla in mano. Così gli ho proposto un accordo: finivo di lavorare come designer alle 18 e ricominciavo a lavorare la sera nello studio, dove mi hanno subito messo in mano un progetto”.

Dopo 3 settimane è arrivato il contratto. “Per il momento, mentre Eliana cerca lavoro, riusciamo comunque a vivere solo con il mio stipendio, e possiamo permetterci cose a cui, a Palermo, dovevamo rinunciare. Io penso solo: perché non ci ho pensato prima?”. Eliana, però, è più nostalgica: “Mi manca la mia terra – dice lei -, anche se qui c’è lavoro”. La visione di Roberto, però, soprattutto dopo il referendum in Svizzera contro l’immigrazione, è più amara: “Tra me ed Eliana ci sono 9 anni di differenza e io in questi nove anni ho accumulato tanto risentimento verso l’Italia. Quando qualcuno qui mi ferma per propormi di firmare referendum come ‘lavoro prima ai nostri’, io rispondo con un sorriso ‘sono italiano’ e non mi pesa. Per me questo è il posto più bello del mondo, perché qui riesco a fare il lavoro che amo e a sfruttare tutte le competenze che ho acquisito con fatica e senza alcuna raccomandazione”.

Aggiornato da Redazione web il 31 luglio 2014 alle 12.44

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