Tutto ha inizio con il decreto legislativo n. 56/2000 che conteneva la riforma del sistema di finanziamento della sanità. Basata su tributi propri delle Regioni e su compartecipazioni a imposte statali. Poi, però, il meccanismo di riparto previsto non è mai stato applicato. Alcune simulazioni.

di  (Fonte: lavoce.info)

Le vicende del Dlgs 56/2000

La riforma del finanziamento del sistema sanitario, attuata attraverso il decreto legislativo n. 56/2000, fu accolta come uno dei primi passi verso il federalismo fiscale: prevedeva infatti un aumento di autonomia nel finanziamento della sanità assieme a un sistema di perequazione necessario a garantire il livello essenziale dei servizi. L’Irap e una distribuzione delle risorse legata alla capacità impositiva e al fabbisogno sanitario avrebbe dovuto portare maggiore responsabilizzazione finanziaria e quindi una tenuta della spesa migliore rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, nel decennio passato la spesa sanitaria è esplosa. Le uscite correnti della sanità dal 2000 al 2012 sono aumentate del 63 per cento per un valore pari a 42 miliardi di euro. In particolare, i consumi intermedi registrano un aumento di quasi 16 miliardi, che corrisponde a un incremento del 125 per cento (Tabella 1). Il fenomeno, certamente, è in parte dovuto all’incremento del fabbisogno sanitario legato alle variazioni socio-demografiche, ma probabilmente si deve anche alla non completa realizzazione della riforma, a cui ha contribuito il ruolo di rilievo avuto da alcune Regioni nella contrattazione relativa alla distribuzione delle risorse.

Tabella 1 – Spesa sanitaria totale e consumi intermedi, 2000-2012

 Il nuovo sistema di finanziamento e la sua situazione

Il Dlgs 56/2000 prevede la sostituzione del vecchio fondo sanitario con l’addizionale Irpef, la compartecipazione all’accisa sulle benzine e una compartecipazione Iva: queste imposte insieme all’Irap istituita con il Dlgs. n. 446/1997 devono finanziare l’intero comparto sanitario. Il decreto stabilisce che per ogni esercizio finanziario il ministero del Tesoro, sentito il ministero della Sanità, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, ha il compito di determinare 1) la quota di compartecipazione all’Iva che deve essere ripartita alle Regioni secondo la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat a livello regionale negli ultimi tre anni disponibili, 2) la quota di concorso alla solidarietà regionale, 3) la quota da assegnare a titolo perequativo nazionale, 4) le somme che dovrà erogare il ministero.
Il totale della compartecipazione Iva è stato ogni anno diviso in due fondi, uno distribuito secondo i consumi finali e l’altro secondo una formula di perequazione che tiene conto del fabbisogno e della differente dotazione di base imponibile Irap di ogni Regione. Era inizialmente previsto che per i primi due anni (2002 e 2003) fosse sottratta una quota del 5 per cento del primo fondo per sommarla al secondo; tale quota sarebbe stata del 9 per cento ogni anno a partire dal 2004 fino al totale azzeramento del primo fondo, previsto per l’anno 2013. Il fondo finanziato dalla compartecipazione Iva, da allocare secondo i consumi finali, è stato di fatto sempre distribuito in base alla spesa storica. (1) La quota rimanente del fondo finanziato con la compartecipazione Iva è poi ripartita in base al nuovo sistema di perequazione basato sul criterio del fabbisogno e della perequazione della capacità fiscale.
La contrattazione all’interno della conferenza Stato-Regioni, con l’accordo di Villa San Giovanni, ha reso la transizione della distribuzione del fondo dalla spesa storica al nuovo criterio molto più graduale di quella inizialmente prevista, con il risultato che, nel 2012, l’80 per cento della compartecipazione Iva era ancora distribuita in base al criterio della spesa storica. Inoltre, l’aliquota di compartecipazione Iva è stata ogni anno rimodulata per garantire un continuo incremento di risorse durato fino al 2011. (2)

Qualche utile indizio interpretativo

Durate gli anni di attuazione del decreto 56/2000 assistiamo, dunque, a un forte rallentamento dei tempi della transizione dalla spesa storica al nuovo sistema, unito a un continuo incremento delle risorse necessarie a finanziare la sanità. Alcune simulazioni possono aiutare a riflettere sulle conseguenze di quanto accaduto. In particolare, abbiamo effettuato un primo esercizio in cui si calcola la differenza tra le risorse percepite in ciascun anno secondo il sistema a transizione rallentata e quello a transizione veloce, nel caso in cui l’ammontare totale delle risorse disponibili dalla compartecipazione Iva non vari da un anno all’altro. Ovvero, nel 2007 si ipotizza di distribuire lo stesso ammontare di compartecipazione distribuito nel 2006, nel 2008, lo stesso del 2007, nel 2009 lo stesso del 2008 e così via fino al 2012.
Nel 2007, dodici Regioni su quindici sono state avvantaggiate solo dalla variazione delle percentuali di passaggio (da transizione veloce a transizione lenta) dal riparto storico al nuovo riparto, infatti il confronto è effettuato a risorse invariate rispetto all’anno precedente. Le rimanenti tre Regioni che avrebbero ottenuto risorse inferiori rispetto al caso in cui fossero prevalse, a risorse invariate, le percentuali del riparto a transizione veloce, sono Lazio, Lombardia e Marche. Mantenendo le risorse invariate da un anno all’altro, l’accordo di Villa San Giovanni avrebbe svantaggiato (rispetto al riparto a transizione veloce) Lazio e Lombardia fino al 2009. Nel 2010 e 2011, otto Regioni su quindici sarebbero state svantaggiate e nel 2012 dieci su quindici (tabella 2).

Tabella 2 – Differenza tra le risorse (in milioni di euro) finanziarie disponibili per la sanità date da 1) entrate proprie e quota compartecipazione Iva distribuita in accordo alla transizione lenta e da 2) entrate proprie e quota compartecipazione Iva distribuita in accordo alla transizione veloce. Si ipotizza che il complesso delle risorse distribuite nell’anno considerato non varino rispetto a quelle dell’anno precedente.

 

La rimodulazione della compartecipazione Iva in aumento da un esercizio all’altro ha reso conveniente l’accordo di Villa San Giovanni anche per quelle Regioni che a risorse invariate ne sarebbero uscite penalizzate (tabella 3).

Tabella 3 – Differenza tra le risorse (in milioni di euro) finanziarie disponibili per la sanità date da 1) entrate proprie e quota compartecipazione Iva distribuita in accordo alla transizione lenta e da 2) entrate proprie e quota compartecipazione Iva distribuita in accordo alla transizione veloce.

Ogni anno, infatti, aumenta l’ammontare assoluto ricavato con la compartecipazione Iva. Se confrontiamo quanto le Regioni ricevono ogni anno con quanto ottenevano l’anno precedente, vediamo che tutte guadagnano fino al 2011, escluso il Lazio nel 2009 e sempre il Lazio e la Campania nel 2011. Quindi l’incremento annuale di risorse ha permesso di rendere accettabile il riparto del decreto 56/2000 (così come scaturito dall’accordo di Villa San Giovanni) almeno fino al 2012, primo anno in cui le risorse disponibili con la compartecipazione Iva sono diminuite.
Lo stesso incremento di risorse è stato anche causa del forte immobilismo distributivo del sistema finanziario della sanità. Infatti, se si somma alle entrate proprie del 2012 il trasferimento ottenuto nel 2006 (colonna 1, tabella 4) e si esprimono le risorse disponibili per la sanità regionale in termini percentuali sul totale e si fa lo stesso sommando però alle entrate proprie del 2012 il trasferimento del 2012 (colonna 2, tabella 4), si nota come (colonna 3, tabella 4) la ripartizione percentuale delle risorse sia in quest’ultimo caso molto più conservativa e quindi favorevole alle Regioni centro meridionali oltre che alla Liguria.

Tabella 4 – Distribuzione (somma 100) di entrate proprie del 2012 sommate a trasferimenti 2006 (colonna 1) e a trasferimenti 2012 (colonna 2) con percentuali del nuovo accordo.

 

Il risultato è dovuto al fatto che le risorse del sistema sanitario sono aumentate ogni anno grazie all’incremento dei trasferimenti verticali, a fronte di una sostanziale staticità del gettito da risorse proprie (Irap; addizionale, Irpef e compartecipazione sulla benzina) e tale incremento di risorse finanziarie è stato per la maggior parte distribuito secondo il riparto storico. Infatti, nonostante ogni anno una maggior quota della compartecipazione sia stata distribuita secondo il nuovo criterio del fabbisogno e capacità fiscale, allo stesso tempo l’ammontare complessivo della compartecipazione da distribuire in base al criterio della spesa storica aumentava e le entrate proprie – la principale causa della differenziazione di disponibilità finanziaria tra un territorio e l’altro – rimanevano pressoché costanti.

Note

(1) Il decreto 56/2000 prevede la costituzione di un fondo di solidarietà orizzontale a cui contribuisce chi ha una quota di spesa storica inferiore alla quota che gli spetterebbe con il riparto in base ai consumi finali e da cui riceve chi ha una quota di spesa storica superiore al riparto in base ai consumi finali: poiché tale meccanismo è ogni anno applicato sulla totalità delle risorse destinate al riparto in base ai consumi finali, si ritorna di fatto per quelle risorse a un’allocazione interamente basata interamente sulla spesa storica. Il riparto in base alla spesa storica è calcolato utilizzando la distribuzione dei trasferimenti soppressi dopo l’introduzione dell’Irap e del 56/2000, al netto di Irap, addizionale Irpef e accisa sulla benzina.

(2) Nel 2006 la compartecipazione regionale all’Iva era pari al 43,58 per cento del gettito complessivo realizzato nel 2004; nel 2007 al 46,10 per cento del gettito 2005; nel 2008 e nel 2009 diminuisce leggermente e si assesta rispettivamente a 44,72 per cento e 44,71 per cento (anche se l’ammontare aggregato di risorse cresce comunque). Poi torna a crescere nel 2010, 49,21 per cento e nel 2011, 52,89 per cento. Nel 2012 l’aliquota di compartecipazione diventa 49,72 per cento.

Bio dell’autore

Leonizio Rizzo si è laureato in Economia all’Università Cattolica di Milano. Ha conseguito il Master in Economics a Louvain-la-Neuve e il dottorato in Economia Politica all’Università Federico II di Napoli. E’ stato Marie Curie post-doc fellow alla LSE. Si occupa di temi di economia pubblica e political economy con particolare riguardo alla finanza locale. Ha insegnato all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Novara e Ferrara. E’ professore associato di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università e research affiliate presso l’IEB dell’Università di Barcellona. Ha svolto e svolge attività di consulenza per vari enti pubblici. E’ attualmente membro del Comitato tecnico sulla Finanza Locale della Provincia di Trento e degli Osservatori regionali sul Federalismo Fiscale della Toscana e dell’Emilia Romagna. 

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