Fino al dicembre 2012 la concussione era un unico reato che poteva essere commesso per costrizione, ovvero violenza o minaccia esplicita (o anche implicita ma percepibile senza equivoci); o per induzione: pressione morale, avvertimenti melliflui, allusioni ai poteri connessi alla carica pubblica di chi li prospettava. Nel primo caso il concusso era sottoposto a una scelta drastica: accettare la proposta (illecita) del concussore o rifiutare sapendo che gliene sarebbe venuto un danno; la sua libertà di determinazione era fortemente compromessa. Nel secondo, pur non potendo il concusso decidere liberamente, le conseguenze non erano prospettate in maniera così grave; sicché la sua capacità di determinarsi era ancora parzialmente sussistente. La legge Severino ha “spacchettato” la norma precedente e costruito due reati distinti: la concussione per costrizione (art. 317) e quella per induzione (art. 319 quater). La formulazione di entrambi è rimasta identica alla precedente tranne per piccole variazioni di pena. Inoltre, nell’ipotesi di concussione per induzione, è stata prevista la punibilità del concusso; e questa è l’unica modifica significativa.

Come sempre succede in occasione di ogni modifica legislativa, molto si è discusso sull’applicabilità delle nuove norme ai reati commessi nella vigenza della vecchia. Inutilmente, poiché la formulazione di entrambi i reati è rimasta identica; ma, nelle aule di giustizia, nulla si lascia di intentato. Sicché si è arrivati alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 12228 del 14/3/14 che ha detto due cose fondamentali.
1- Le modifiche apportate dalla Legge Severino non danno luogo ad alcun vuoto sanzionatorio: “vi è continuità normativa” tra il vecchio reato e quelli previsti dalla nuova legge. In altri termini tutto quello che costituiva concussione prima è da considerarsi concussione oggi: non vi sono condotte, punibili prima della legge Severino, che – oggi – non costituiscano reato.
2 – Il concetto di “induzione”, dopo la riforma Severino, merita di essere precisato: si tratta di una “condotta di persuasione, suggestione, inganno, pressione morale, che condiziona la libertà di autodeterminazione del destinatario, che finisce col prestare acquiescenza alla richiesta perché motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione”.

Ecco, è da questa sentenza che sono nate tutte le polemiche sul presunto “ammorbidimento” della legge Severino che, oggi, non permetterebbe di punire la concussione per induzione quando manchi “il vantaggio personale”, aprendo così una strada all’impunità per i concussori che non prospettino tale vantaggio. Ma sono polemiche infondate. La Cassazione non fa le leggi, le interpreta; e dunque, considerato che la legge Severino non parla assolutamente di “vantaggio personale” e che la condotta del concussore è rimasta esattamente la stessa, la domanda diviene: perché le Sezioni Unite ne parlano? La risposta è agevole: perché c’è un nuovo soggetto imputabile, il concusso. E bisogna stabilire quando questi deve essere considerato colpevole.

Secondo la classica giurisprudenza in materia di concussione, la prospettazione di un danno limita gravemente la possibilità di decidere del concusso che è dunque obbligato a soddisfare la richiesta illecita del concussore; in questo caso non è giusto che sia punito. Così era e così è oggi. Ma, hanno chiarito le Sezioni Unite, se al concusso viene prospettato un “vantaggio personale”, egli conserva la scelta tra aderire alla richiesta illecita o rifiutarla: si tratta solo di rinunciare al vantaggio; se non lo fa, è giusto che sia punito. Insomma, il “vantaggio personale” è solo il criterio da considerare per valutare la punibilità del concusso, fermo restando che il concussore sarà punito comunque.

Riassumendo: se vi è “continuità normativa” tra la vecchia legge e la nuova; se tutto ciò che era punito prima è punito anche oggi; se la concussione per induzione sussiste solo quando il concussore prospetta un vantaggio personale al concusso; ne deriva che tutte le restanti condotte di abuso realizzate dal pubblico ufficiale integrano il più grave reato di concussione per costrizione. In altri termini, se il concusso moralmente pressato da allusioni al potere del concussore spera in un vantaggio personale (B. farà sì che la mia richiesta di promozione venga accettata), si tratta di concussione per induzione. Se invece queste allusioni gli prospettano un danno (B. si opporrà alla mia richiesta di promozione), si tratta di costrizione.

Tutto ciò premesso, si capisce che la sentenza della Corte d’Appello di Milano non è dovuta alla presunta mancanza di un “vantaggio personale” prospettato ai funzionari di polizia; ma alla ritenuta mancanza della condotta di costrizione o induzione da parte di B. L’assoluzione perché il fatto non sussiste significa che è mancata la prova di pressioni psicologiche, di allusioni ai poteri di B. da cui i funzionari di Polizia potevano dedurre possibili vantaggi personali; il che non vuol dire che essi non lo abbiano sperato, come aspettativa autonoma. Così come è mancata la prova vi siano state pressioni o allusioni a conseguenze negative sulla carriera; che possono essere state temute, ma indipendentemente dalle intenzioni o dalle azioni di B. Improbabile? Sì, molto; ma il processo è fatto di prove, non di pregiudizi. Così era prima della Legge Severino e così è ora.

Pubblichiamo questo commento di Bruno Tinti in dissenso con quanto abbiamo sostenuto prima e dopo la sentenza della Corte d’Appello di Milano su Berlusconi nel processo Ruby. Precisiamo soltanto che l’ipotesi avanzata dal “Fatto” e suffragata dal parere di diversi giuristi (persino dal difensore di Berlusconi avvocato Franco Coppi) rimane valida: prima della legge Severino, il reato di concussione era unico, sia che si concretasse con condotte di costrizione, sia di semplice induzione. Dopo la Severino, i reati sono due e diversi. Quando avvennero i fatti, cioè nel 2010, i giudici potevano condannare Berlusconi per concussione sia nel caso di costrizione, sia in quello di induzione. Dal dicembre 2012, non più. Se venerdì scorso la Corte d’Appello avesse ritenuto che la concussione (costrizione) non c’è, mentre c’è l’induzione indebita, avrebbe dovuto assolvere l’imputato perché “il fatto (concussione per costrizione, ndr) non sussiste”. Come in realtà ha fatto. E non avrebbe potuto condannarlo neppure per induzione, perché l’indotto non ha ricevuto “l’indebito vantaggio” richiesto dalle Sezioni Unite della Cassazione. Come in realtà è avvenuto. Scopriremo fra 90 giorni dalle motivazioni se l’assoluzione è stata decisa per questa ragione oppure per quella ipotizzata da Bruno Tinti.
M. Trav.

Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2014

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