Mi è capitato recentemente di seguire la conclusione di una relazione tra due giovani partner, relazione in cui iniziavano manifestazioni di violenza. Lei rischiava di farsi male, lui di cacciarsi nei guai. Sono stati insieme quasi un anno e si sono voluti molto bene. Lui è sempre stato molto possessivo e per lei all’inizio questo era confermante e protettivo, veniva fuori da due delusioni consecutive. Poi da confermante e protettivo è diventato soffocante e non se la sentiva più di continuare, voleva riprendersi la sua vita, ricominciare ad uscire con gli amici.

Per lui era diverso, la sentiva sempre più sfuggente e gli veniva naturale controllarla, leggere i messaggi sul cellulare. Per lui lei ha rappresentato una zattera a cui aggrapparsi in un momento di sbandamento. Non poteva lasciarsela scappare. Non accettava la rottura e cominciava a trattarla male, poi a pentirsi. Le vuole bene, non vorrebbe farle del male, ma delle volte l’istinto ha il sopravvento. Lei comincia ad avere paura delle sue reazioni, ad essere meno diretta, meno chiara, meno sincera. Lui percepisce la non sincerità, la prende male, si fa più aggressivo. Lei lo lascia per telefono, non se la sente di affrontarlo. Lui non l’accetta, si sente un fuoco dentro, non si sente rispettato, vuole incontrarla, vuole essere affrontato, vuole sentirsi dire le cose in faccia e chiaramente, ma lei smette anche di rispondere al telefono.

A volte una brutta ma sincera verità è preferibile al silenzio. Come dice P. Watzlawickuna brutta verità può essere dolorosa ma riconosce quello che si rifiuta“, perciò è meglio dire, o sentirsi dire, di non essere più amati, piuttosto che il silenzio o l’indefinitezza che sono disconfermanti perché sul piano relazionale equivalgono al messaggio “tu non esisti”. Alcuni comportamenti molesti nascono nel tentativo di stimolare una risposta definita che consenta di placare stati d’animo intollerabili e cominciare a farsi una ragione degli eventi. Lui la aspetta sotto casa, è disposto ad aspettare tutto il tempo. Lei ne ha parlato con i suoi che sono a casa e questo le da sicurezza. Deve prendersi le sue responsabilità, lo fa salire, parlano e riesce a dirgli le cose in faccia, con calma, determinata.

Questo non risolve certo le cose, lui continuerà a cercarla per un bel po’, ma con un livello diverso di aggressività. Questo è solo un caso e non può essere troppo generalizzato, credo comunque che gli uomini che mettono in atto comportamenti violenti se ne devono assumere la responsabilità, ma che sono solo una parte del problema. Non voglio giustificare, ma dare coerenza alle cose. Resta fermo il fatto che il partner più debole debba sempre essere tutelato e protetto, ma quel che basta per non fargli correre rischi, nello stesso tempo deve essere aiutato a capire la sua parte nella storia se ha sottovalutato, se ha voluto credere, se continua a credere… Concordo che i percorsi di uscita da relazioni violente sono molto complessi e i percorsi che secondo me offrono più garanzie sono quelli che aiutano le vittime a fortificarsi, a rivedere il coinvolgimento emotivo nella relazione, a migliorare l’opinione che hanno di se stesse e della propria capacità di affrontare e risolvere le cose. Credo che certe forme di assistenza siano fondamentali nell’emergenza, ma se non sono seguite da un percorso di cambiamento, di consapevolezza e di crescita personale, rischiano di mantenere le vittime di violenza in condizioni di dipendenza e vulnerabilità e quindi sempre un po’ prigioniere degli ex partner o di quelli futuri.

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