Arriva da Terni l’ultimo duro colpo al settore siderurgico italiano. Dopo lo spegnimento dell’altoforno della Lucchini di Piombino e le annunciate chiusure degli stabilimenti Marcegaglia Buildtech a Taranto e Sesto San Giovanni, stavolta nell’occhio del ciclone c’è Acciai speciali Terni (Ast) del gruppo Thyssenkrupp. Il 17 luglio, l’azienda, che conta 2800 dipendenti e 130 anni di storia, ha presentato un piano industriale che prevede una riduzione del personale di 550 persone in due anni e lo spegnimento di un forno dello stabilimento umbro. Una decisione che ha provocato l’immediata reazione dei lavoratori, che hanno indetto uno sciopero di otto ore e hanno sfilato in corteo dallo stabilimento fino al centro di Terni.

I sindacati, infatti, ritengono insufficienti le giustificazioni dell’azienda, che ha spiegato di avere “attraversato un periodo difficile, che ha comportato delle perdite significative attribuibili alle avverse condizioni di mercato e a inefficienze strutturali”. La società fa sapere di puntare a “un rilancio dell’azienda ternana come player sostenibile nell’industria dell’acciaio inossidabile”. Nel dettaglio, oltre ai tagli del personale e allo spegnimento del secondo forno dell’acciaieria, il piano prevede anche la rinegoziazione dei contratti aziendali e un taglio dei costi pari a 100 milioni l’anno, che comporterà, secondo le sigle sindacali, una riduzione del 10% del costo del lavoro.

Ma se per Ast il progetto è mirato al rilancio, il giudizio dei sindacati sul piano è “nettamente negativo”. In una nota congiunta, Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil affermano che la decisione dell’azienda “scarica sui lavoratori tutti i costi e le responsabilità di una gestione che ha condotto in questi ultimi anni lo stabilimento ad una progressiva precarietà produttiva e a una conseguente difficoltà finanziaria”. Per le sigle sindacali, inoltre, il piano industriale messo a punto dalla società non presenta “nessuna prospettiva di consolidamento e sviluppo e di collocazione strategica delle acciaierie di Terni nel mercato globale”.

Ma i sindacati non puntano il dito solo contro l’azienda. “Rammentiamo alla Commissione europea le sue responsabilità nei confronti dei danni creati dall’invalidazione della cessione di Ast al gruppo Outokumpu”, si legge nel comunicato. La vicenda risale al 2012, quando Outokumpu, azienda siderurgica finlandese, aveva concluso un accordo per l’acquisto della maggioranza di Inoxum, la controllata di Thyssenkrupp di cui fa parte Ast. Ma pochi mesi dopo, la Commissione antitrust europea aveva aperto un’inchiesta, manifestando ”serie potenziali preoccupazioni sotto il profilo della concorrenza in vari mercati per la produzione e la distribuzione di laminati in acciaio inossidabile, dove il nuovo gruppo avrebbe quote di mercato molto elevate”.

Per salvare l’acquisizione di Inoxum, Outokumpu aveva così proposto alla Commissione europea la cessione delle acciaierie di Terni, una soluzione che Bruxelles aveva accettato. Dopo un anno di incertezze, era stata la stessa Thyssenkrupp a farsi avanti per riprendersi lo stabilimento ceduto solo 22 mesi prima. Per poi, a distanza di altri otto mesi, tagliare il personale e la produzione.

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