Dopo dieci giorni di Tour pedalato, c’è il Tour parlato. Il giorno di riposo è scandito dalla tradizionale conferenza stampa della maglia gialla. Vincenzo Nibali ha ricevuto un centinaio di giornalisti nel parcheggio dell’hotel Kyriad di Besançon, dove alloggia l’Astana. Ha posato in totale relax, sfogliando i giornali francesi che osannavano l’impresa “en solitaire” del suo arrivo in cima alla Planche des Belles Filles. Ha deplorato l’incidente che ha costretto Alberto Contador al ritiro, una frattura alla tibia. Ha parlato con grande pacatezza, ricordando quanto il Tour sia ancora lungo e quali insidie ci possano essere dietro ogni curva, lungo ogni discesa: “Avrei preferito che ci fossero ancora Christopher Froome e Alberto, io sono arrivato al Tour con grandi ambizioni, e in ottima forma”, sottinteso, come ha dimostrato fin dall’inizio, quando i due rivali c’erano.

D’altra parte, è il parere di Bernard Hinault sul Figaro, Nibali ha già “fatto una buona parta della strada” verso la vittoria finale, “la caduta è il solo pericolo che potrebbe danneggiarlo”. Per il resto, scrive Hinault, non vedo chi possa minacciarlo. Corre bene, sempre avanti. E’ sereno, ben appoggiato e protetto dalla squadra. Ha superato la tappa del pavé senza intoppi, ha domato Contador nella tappa di Gérardmer, a La Planche des Belles Filles è stato il migliore. Ha già vinto una Vuelta e un Giro: “E’ capace di assumere le responsabilità della prova”. Qualcuno si stupisce della “serenità” di Nibali. E si chiede: da dove trae questa forza interiore che gli dà tanta sicurezza? Semplice, la risposta: è sicuro della propria forza (e i test lo confermano); ha una squadra molto equilibrata e di qualità; è arrivato al Tour in crescendo di forma, affinata alla settimana del Delfinato (dove c’erano Froome e Contador).

In più, il suo carattere risoluto: quando punta un obiettivo, quasi sempre lo centra. L’unico cruccio, che svela senza pudore, è la miopìa di quei giornalisti che avevano riassunto, alla vigilia, il Tour come un duello fra Froome e Contador, mentre lui sentiva di essere ben più che “il terzo uomo”. Per questo, ha voluto mettere le cose subito in chiaro, fin dalla seconda tappa, quando ha lasciato basiti Froome e Contador e ha conquistato la maglia gialla. Un’azione doppiamente significativa, un messaggio indirizzato ai suoi rivali. I quali hanno subito capito che non avrebbero avuto vita facile. Come, del resto, ha sperimentato sulla propria pelle Contador nel giorno del pavé, staccato di due minuti e mezzo, mica briciole.

Mentre Nibali congedava i rappresentanti dei media internazionali, Fabian Cancellara si congedava dal Tour, tornandosene a casa, che da Besançon poi non è così lontana (ci potrebbe comodamente andare in bici…): “Sono distrutto. La stagione è stata lunga per me, 59 giorni di corse. Ho un grande obiettivo, il campionato del mondo. Voglio arrivarci nella migliore forma possibile. Per questo è importante pigliare un po’ di riposo”. Cancellara è uno dei boss del gruppo: un’altra assenza rimarchevole. E’ probabile vederlo alla partenza della Vuelta, che comincia il 23 agosto a Jerez de la Frontera. Quest’anno, la gara a tappe spagnola – la terza nella gerarchia, dopo Tour e Giro d’Italia – schiererà i migliori corridori in circolazione, a cominciare da Froome, Wiggins (il grande assente che la Sky non ha voluto portare al Tour perché Froome non lo voleva tra i pedali) e anche Contador, oltre a Nairo Quintana che ha vinto il Giro di quest’anno. La gara italiana rischia di perdere peso e interesse, rispetto alla concorrenza iberica, proprio a causa di un calendario ingiusto e prematuro. Chi punta al Mondiale, vuole perfezionare la forma alla Vuelta che lo precede. E quest’anno i campionati si svolgono giusto in Spagna, a Ponferrada

Domani, si riprende con la Besançon-Oyonnax, un percorso nervoso di 187,5 chilometri condito da innumerevoli saliscendi e qualche asperità nel finale con tre colli di terza categoria e uno di quarta. Ma il traguardo è al termine di una discesa piuttosto impegnativa. E’ un arrivo inedito per il Tour ma non per gran parte dei corridori perché qui passa il Dauphiné Liberé e l’ultimo a vincere a Oyonnax è stato il nostro Elia Viviani. Insomma, se in fuga si infilano i velocisti e superano indenni la sfilza di salite che li attende sino a 19,5 chilometri dal traguardo, allora non c’è storia. Ma io credo che sia una tappa più adatta a grandi finisseur come Peter Sagan. E‘ la sua grande occasione. A proposito. Ultimo della classifica è Ji Cheng della Giant-Shimano di Marcel Kittel. In Italia sarebbe “maglia nera”. In Francia, è “lanterne rouge”. Un cinese lanterna rossa. Dahong Denglong gaogao gua, splendido film di Zhang Yimou che vinse il Leone d’argento a Venezia, da noi distribuito col titolo “Lanterne rosse”. In Cina i mariti poligami accendevano quella della stanza della moglie con la quale volevano passare la notte. Gong-Li, in quel film, era bellissima. E dolente: i rapporti dei sessi erano sempre dettati da logiche di potere. E non d’amore.

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