Quando ho saputo che Mogol, eccelso artista e poeta – l’uomo che insieme a Battisti ha lasciato un segno indelebile nella musica non solo italiana, ma mondiale – aveva deciso di omaggiare la mia isola con una sua canzone, non riuscivo a crederci. La Sardegna ha ispirato, nel corso dei secoli, tantissimi artisti, scrittori, poeti: Lawrence, Carlo Levi, Grazia Deledda, fino a Fabrizio De Andrè che ne ha fatto la sua seconda casa. Ora anche Mogol e – mi sono detta- chissà con quale maestria sceglierà le parole più adatte per descrivere la meraviglia della mia terra, lui che di parole se ne intende più di chiunque altro? Poi ho ascoltato la canzone e allora si, che non riuscivo a crederci per davvero!

S’intitola Sardinia, Sardinia: parole di Mogol, musica di Gino Marielli dei Tazenda, interpretata da Pago accompagnato dal coro delle Balentes. La melodia è un incrocio tra un jingle pubblicitario per la Costa Crociere e il pezzo “In fondo al mar” tratto dal film Disney La Sirenetta; tanto che, ad un certo punto, mi aspettavo di veder spuntare fuori, nel video, il granchio Sebastian che cantava a squarciagola circondato da tutti i pesci del mare. Le parole, sulle quali tanta speranza avevo riposto, sono tutt’altro che ricercate, a meno che non immaginiamo che a scriverle sia stato un bimbo di quarta elementare, che parla della sua appena trascorsa vacanza in Sardegna e non Mogol in persona. «Questa canzone è nata da un dispiacere. Ero preoccupato dalle tante brutte notizie che sentivo sulla crisi dell’economia sarda. Mi ha colpito in modo particolare il gran numero di disoccupati» ha spiegato Mogol «E mi sono chiesto cosa potessi fare per la Sardegna. Ben poco, ma io scrivo canzoni e così ho chiamato i Tazenda. Abbiamo pensato a una canzone festosa, una cartolina amorosa che deve accogliere chi arriva qui». Il gesto del poeta Mogol è lodevole e nobile negli intenti, purtroppo dispiace e delude non poco la superficialità – per non dire banalità – con la quale viene descritta una terra come la Sardegna; “la gente che viene e va”, “un tuffo nel blu”, “ le vele sul mare rallegrano il cuore”, tutto è visto in un’ottica di eterna vacanza, una specie di “isola che non c’è” che vive attraverso gli occhi di un turista distratto che passa una decina di giorni in paradiso, per poi ritornare al grigiore della sua città, in continente.

A questo proposito, l’assessore regionale al turismo Francesco Morandi, sente la necessità di sottolineare che “per noi, questa canzone è uno straordinario spot per la promozione turistica”. Una canzone ci salverà. Questo è lo slogan e l’assessore ne è convinto. Il problema qui non è Mogol che, preso da un comprensibile innamoramento per una terra magica come la Sardegna, decide di scrivere una canzone low profile e di farne dono alla Regione, semmai il vero problema è che si creda di poter usare una canzoncina estiva come incentivo al turismo di massa, di cui peraltro la Sardegna non ha affatto bisogno, rinunciando ancora una volta a puntare su altre ricchezze del territorio sardo, su un altro tipo di turismo, che possa realmente aiutare a risolvere il terribile problema della disoccupazione, ad esempio attraverso una riqualificazione delle zone interne dell’isola; non solo “tuffi nel blu”, ma riscoperta delle tradizioni, della storia di una terra antica e affascinante, dell’arte e della poesia sarda, cercare di creare un turismo che non sia solo legato alla stagione estiva, ma che sia presente tutto l’anno. Riflettendo su questo punto, mi sono imbattuta in un blog davvero singolare: quello di Roberto Carta. La sua particolarità sta nel fatto di essere scritto interamente in lingua sarda. Chi è “diversamente sardo” dovrà ricorrere ad un traduttore, ma ne varrà di sicuro la pena. L’importanza della lingua sarda e della sua storia, potrebbe essere un altro punto da approfondire nell’ottica di un nuovo modo di intendere il turismo in Sardegna. Il post che ha catturato la mia attenzione parlava, per l’appunto, della canzone ‘incriminata’ e sposava per intero il mio punto di vista sulla questione. Riporto solo alcuni passi, quelli a mio avviso più importanti:

Giai su printzìpiu de sa cantone, «isula biaita», nos narat ite? Forsis de unu logu chi est mare ebbia, cun sa «zente chi andat e torrat» e chi est in chirca «de libertade». Chie la chircat custa libertade? Su turista de passazu chi nche barigat 15 dies chena ischire nudda de su logu chi lu faghet istranzare e chi bidet su mare biaitu ebbia? […….] B’at de narrere una cosa, nois sardos amus apretadu meda pro unu turismu crabarzu (bortulamus su cuntzetu, diat essere ora), chi non at idea peruna de fungudumine ma si presentat ladu che limba imbreaga. Unu turismu istracu oramai, e custa cantone, si est a la narrere tota,  nos torrat meda s’istrachidudine de s’idea turìstica chi gighimus in conca

“ Già l’inizio della canzone, “isola azzurra”, che cosa ci dice? Forse ci racconta di un luogo che è solo mare, con la “gente che va e viene” in cerca “di libertà”. Chi la cerca questa libertà? Il turista di passaggio che rimane 15 giorni senza sapere nulla del luogo che lo ha ospitato e che vede il mare blu e basta? […..] C’è da dire una cosa, noi sardi siamo stati troppo frettolosi nell’accettare un turismo di poco spessore (sarebbe ora di rovesciare la situazione), che non ha nessuna idea di profondità, ma si presenta piatto come una lingua ubriaca. Un turismo stanco ormai, e questa canzone, se devo dirla tutta, ci restituisce parecchio la stanchezza dell’idea di turismo che abbiamo in testa”.

 

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