L’ultima volta ci ha provato, giusto un anno fa, Stefano D’Ambruoso, deputato questore della Camera del gruppo di Scelta Civica. È andato in Ufficio di presidenza e ha proposto una via per ridurre il costo dei parlamentari: via le indennità accessorie e i servizi agli eletti (ufficio, segreteria, telefono) li paga direttamente l’istituzione. Risposta: vedremo. L’allora suo collega di partito, Ferdinando Adornato, fu l’unico a dire pubblicamente no: “Per selezionare un personale politico di qualità occorre essere consapevoli che il talento ha un prezzo di mercato”. Ancor peggio andò alla commissione che Mario Monti incaricò a dicembre 2011 di risolvere la questione-stipendi: siano livellati sulla media Ue. Cinque mesi dopo Enrico Giovannini, all’epoca presidente dell’Istat, gettò la spugna: non si può fare, troppe variabili. A tagliare le pensioni e rinviare sine die quella di chi è ancora al lavoro, invece, erano bastate poche ore e qualche lacrima. Risultato: siamo ancora lì. A parte qualche taglietto, i soldi che entrano nelle tasche dei parlamentari sono sempre gli stessi e per la maggior parte sfuggono – legalmente – al fisco. È stato Giancarlo Galan, nella sua intervista al Fatto Quotidiano, a ricordarlo involontariamente: “La Finanza dice che vivo al di sopra delle mie possibilità? Non hanno calcolato la parte non imponibile dei miei stipendi di deputato, che è più cospicua dell’imponibile”. Vero: sono oltre 400mila euro a legislatura, un tesoretto.

Una vita tranquilla e 12 mila euro netti
Ci spiega il sito del Senato: “In tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato è garantito ai parlamentari un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza”. È un modo di metterla. L’altro è raccontare come funziona il sistema attraverso la settimana perfetta (e i relativi guadagni) di un eventuale parlamentare scansafatiche (si tratta di un’astrazione, ovviamente, visto che tutti i nostri parlamentari lavorano continuamente, rimettendoci spesso del proprio). In sostanza – per ottenere il jackpot da 12 mila euro netti circa (le cifre precise sono nella tabella a centro pagina) – gli basta partecipare al 30% delle votazioni giornaliere e farsi vedere, ma poco, nella commissione di cui fa parte.

È lunedì mattina. L’eletto si sveglia nel suo letto, nella sua regione, lontano dalla Capitale. Spegne la sveglia e si riaddormenta: “Tanto oggi pomeriggio c’è solo una discussione generale, non si vota”. Martedì mattina arriva a Roma, passa nel suo appartamento, va a pranzo con un amico e verso le 15 entra in Parlamento: si fa vedere, un attimo, in commissione, poi va in Aula e vota un po’, giusto quel che serve. Nel frattempo telefona, chiacchiera con gli amici di ogni colore e grado, forse occhieggia galante a qualche funzionaria di bell’aspetto (ma su questo non potremmo scommettere). Mercoledì passa più o meno alla stessa maniera e pure giovedì, ma quando arriva la sera l’indolente eletto sfodera uno scatto felino, mentre il trolley rumoreggia al suo fianco. Venerdì non si vota e lui corre in aeroporto: ha un convegno a Siracusa sul “Sud come risorsa”. Sabato sera riesce infine a tornare a casa, così la domenica può curare il rapporto con la famiglia se non quello col collegio. È di nuovo lunedì e, giustamente, l’eletto si riposa: “Tanto oggi non si vota”. Questa settimana vale quasi 4 mila euro netti, 12 mila al mese, la maggior parte dei quali – ricorda Galan – esentasse.

Oltre 400 mila euro che il Fisco non vede
Ricapitolando. A Montecitorio, netti e senza dover presentare fatture e scontrini, un deputato (che non abbia un altro lavoro, altrimenti le cifre si abbassano un po’) incassa circa 11.770 euro al mese, cioè oltre 140.000 euro l’anno. A questi soldi, peraltro, vanno aggiunti 1.200 euro l’anno di spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa al mese per il cosiddetto “esercizio di mandato” (anche queste devono però essere certificate e comprendono cose come lo stipendio di un collaboratore, l’organizzazione di un convegno, eccetera). Fanno altri 23.400 euro ogni dodici mesi. In tutto, insomma, parliamo di oltre 163 mila euro. Il costo lordo, cioè comprensivo di trattenute, per la Camera sfiora i 230 mila euro l’anno. Per i 630 deputati totali significa circa 145 milioni l’anno di soli stipendi e rimborsi (a bilancio per il 2013, però, ci sono 154,3 milioni, perché in questa voce vanno calcolati anche i contributi a carico del “datore di lavoro” Montecitorio).

La busta paga dei senatori è più o meno simile, anche se leggermente più ricca, forse per via del fatto che gli inquilini di Palazzo Madama sono più onusti d’anni e d’esperienza: incassano – netti e senza neanche una fattura – 12.250 euro mensili, vale a dire 147 mila euro l’anno. Se ci aggiungiamo però gli altri 2.090 euro al mese a cui gli eletti a Palazzo Madama hanno diritto dietro certificazione quadrimestrale, il conto sale a 172 mila euro annui che garantiscono, com’è noto, l’indipendenza del senatore. Il lordo, ovviamente, anche in questo caso è maggiore: 236.500 euro l’anno circa. Nel bilancio 2013 di palazzo Madama il costo totale è di oltre 80 milioni per 320 senatori.

Ultimo capitolo. Se consideriamo il solo netto dei rimborsi automatici – cioè quelli pagati dalle rispettive Camere senza nemmeno la presentazione di un contratto/scontrino/biglietto – i deputati vedono arrivare in banca all’ingrosso 6.779 euro al mese e i senatori 7.240 euro. L’anno fa, rispettivamente, 81.588 e 86.880 euro; in una legislatura 407.940 e 434.400 euro. Tutto esentasse. Il talento, d’altronde, “ha un suo prezzo di mercato”.

Da Il Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2014

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