Sisal rinuncia alla Borsa. Il brusco annuncio è arrivato praticamente alla vigilia della chiusura della fase di vendita delle azioni della società del Totocalcio che era in calendario per lunedì 14 luglio con lo sbarco a Piazza Affari previsto per il 18. Una decisione motivata con la “sfavorevole situazione del mercato mobiliare domestico e internazionale” e che non stupisce, visto il profilo di rischio piuttosto elevato e le criticità della società che sarebbe dovuta arrivare a Piazza Affari subito dopo le operazioni Fincantieri e Fineco con la prima che non ha avuto certamente esiti positivi.  

E cioè alti debiti, un conto economico da qualche anno in perdita e una serie di contenziosi fiscali e penali che interessano a vario titolo la società e il suo amministratore delegato Emilio Petrone, dominus indiscusso del gruppo. Il capitolo debiti è uno dei più spinosi, e non a caso durante la presentazione alla stampa gli amministratori si erano affrettati a spiegare che una parte dei proventi dell’offerta sarebbe stata dedicata ad abbattere il debito. Il punto di partenza è la situazione al 31 marzo del 2014, che vede il gruppo addirittura con un patrimonio netto negativo per 50,5 milioni di euro, schiacciato da un indebitamento complessivo lordo pari a 1,69 miliardi di euro e definito “significativo” dalla stessa società.

Una situazione molto pesante, perché carica di oneri finanziari la società portandola in rosso, e per questo motivo la controllante Gaming Invest, la società veicolo lussemburghese che raccoglie principalmente i tre fondi di private equity proprietari (Permira, Apax, l’italiana Clessidra di Claudio Sposito) si era detta disposta “rinunciare” al proprio debito verso la controllata Sisal, pari a 465 milioni, se la quotazione fosse andata a buon fine. Ma non si tratta di un vero e proprio gesto di liberalità, com’è stato presentato: quei crediti sarebbero diventati una riserva ad hoc nel patrimonio netto, che sarebbe tornato ad essere positivo per 409 milioni per effetto di questa manovra, ma che gli azionisti avrebbero potuto ridistribuirsi pro quota in un secondo momento. In parte una partita di giro, insomma, che però nel breve periodo avrebbe  assicurato anche un calo degli oneri finanziari ora pesanti: sono stati 86,8 milioni di euro nel solo 2013.

Il debito verso le banche avrebbe dovuto essere tagliato grazie alla vendita di azioni, per un totale di 77,5 milioni, 28,5 milioni delle quali derivanti da un aumento di capitale (denaro che sarebbe quindi rimasto nelle casse della società) e il resto dal portafoglio dei fondi azionisti. La forchetta di prezzo era stata fissata tra 6,30-7,70 euro per azione. Questo vuol dire che nelle casse societarie sarebbero dovuti entrare solo 179-220 milioni di euro, parte dei quali dedicati al taglio dei debiti. Il lotto di azioni in vendita o sottoscrizione era pari al 59 per cento circa del totale, con Game Invest che avrebbe perso la maggioranza assoluta, ma non il controllo della società.

Spinoso, poi, anche il capitolo reddituale: nel 2013 la società ha perso 99 milioni di euro; 38,8 milioni nel 2012 e 29,5 milioni nel 2011. E gli utili erano attesi nel 2015, secondo la previsione dell’ad Petrone, “grazie anche al taglio degli oneri finanziari”. Taglio che ora viene a mancare. In ogni caso, tra il 2012 e il 2013 il fatturato di Sisal era sceso del 6 per cento a 772 milioni di euro e un calo c’è stato anche rispetto al 2011, in linea con la crisi di gioco degli italiani, che restano comunque i secondi al mondo in questa attività. “Le perdite 2013 derivano da poste non ricorrenti”, aveva dal canto suo spiegato Corrado Orsi, direttore finanziario del gruppo. Tra queste dovrebbero esserci le somme saldate allo Stato per il contenzioso aperto con la Corte dei Conti relativo alle slot machine, pari a 65-70 milioni di euro. Da rimarcare, inoltre, che i giochi in concessione a Sisal (74% del fatturato, il resto sono servizi di pagamento) scadranno tra il 2016 e il 2022 e la società dovrà rimettersi in gara per riconquistarli.

Non bastassero le difficoltà del business, è ampio anche il capitolo che riguarda i problemi col fisco e con la giustizia. Con il primo la società ha aperto vari contenziosi, che potrebbero costare molto cari se li dovesse perdere: per il più importante gruppo di controversie, quelle legate al periodo dell’acquisizione da parte dei fondi di private equity, si legge nel prospetto di quotazione che il costo massimo per la società sarebbe di 17,5 milioni di euro più le sanzioni dal 100 al 200 per cento dell’importo e gli interessi legali. Tra gli ultimi contenziosi ve n’è uno che riguarda la controllata Sisal Match Point per alcune operazioni fatte con Paesi in cosiddetta black list per il fisco italiano, ovvero paradisi fiscali. Che rendono d’obbligo l’apertura di una parentesi sulla singolarità del fatto che una società concessionaria di un pubblico gioco sia poi inseguita così dal fisco per una serie di operazioni definite elusive.

Tanto più che lo stesso Petrone risulta indagato dalla procura di Milano per infedele dichiarazione dei redditi (articolo 4 del decreto 74/2000). L’altra indagine, quella relativa a un pagamento da 860mila euro fatto alla società GM762 riferibile all’ex presidente di Bpm ora in carcere Massimo Ponzellini, è al momento congelata. Fonti della procura lasciano intendere che l’accusa di corruzione privata potrebbe cadere se non si rintraccerà la controprestazione per quel pagamento. Petrone si è detto fiducioso che tutto vada per il meglio e parlando di business ha prospettato un futuro di crescita organica e per acquisizioni che rafforzino il business e la rete di negozi Match Point e WinCity. Proprio con la partenza dell’offerta è arrivato Vincicasa, ultimo gioco della società, che promette un’abitazione ai fortunati vincitori. Ma ora ha altre priorità.

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