Frondisti e facilitatori. Incassato il sì incondizionato al dialogo da parte del Movimento 5 Stelle, è sempre l’opposizione interna al Pd a non far dormire sonni tranquilli a Matteo Renzi. Che se non vede la fronda trasversale come un ostacolo in grado di compromettere la strada della riforma del Senato, ancora non sa cosa potrà riservagli la mossa dei cosiddetti facilitatori. Costoro, guidati dal lettiano Francesco Russo, ieri sera, nell’assemblea dei senatori dem, hanno presentato un documento per favorire la nascita del nuovo Senato e contemporaneamente ‘puntare’ a modifiche non da poco per quanto riguarda l’Italicum. Con ordine, iniziando dai malpancisti o frondisti che dir si voglia. Innanzitutto i numeri del dissenso. Sarebbe una sessantina i senatori che si opporrebbero alla rivoluzione di Palazzo Madama e si tratterebbe di una fronda trasversale al patto del Nazareno, visto che comprende scontenti di Pd, Lega, Forza Italia, Ncd e altri cespugli di maggioranza, tutti riuniti sullo strano asse Minzolini-Mineo, che vogliono elettiva l’aula di Palazzo Madama e che il premier ha definito ironicamente “la dinastia Min”. Il premier, appunto. Matteo Renzi ai suoi fedelissimi non ha fatto mistero di essere certo di avere i numeri in in aula per far passare la sua linea. Per lui, quota 160 non è un problema: perché può contare su almeno 90 senatori Pd ‘sicuri’ e perché è convinto che Silvio Berlusconi può disporre di quella parte di Forza Italia che basta per avere la maggioranza dei voti. Il tutto, ovviamente, al netto dell’appoggio scontato di Ncd, Lega, Scelta Civica, Gal e altre formazioni minori.

Una certezza, quella dei numeri, tenuta ben in considerazione anche da chi si oppone al Senato dei nominati. All’interno del Pd, poi, resta il nodo del voto di dissenso della minoranza a Palazzo Madama. In tal senso, hanno avuto un certo effetto le dichiarazioni del vicecapogruppo Tonini, il quale ieri, prima dell’assemblea dei senatori Pd, riferendosi all’articolo 67 della Costituzione (quello che l’assenza di vincolo di mandato) ha spiegato come “esso garantisce solo che se si vota in dissenso si rimane senatore”. Tradotto: chi vota contro è fuori dal gruppo. Una mossa per certi versi attesa. Diverso, invece, il discorso per quanto riguarda l’iniziativa di un gruppo di esponenti dem, che sempre ieri sera hanno presentato un documento in cui si chiede che venga modificato “in profondità” l’Italicum. Il leader di questo gruppo è il lettiano Francesco Russo. Nella riunione, tuttavia, anche i senatori bersaniani, come Miguel Gotor, hanno chiesto modifiche alla riforma elettorale, bocciata anche dal ministro Martina. Russo, nel documento, ha criticato i dissidenti del Pd che avevano chiesto di far slittare ulteriormente il voto sulle riforme: “Sarebbe un autogol inspiegabile che smentirebbe e renderebbe vano il lavoro positivo e corale che ci ha visti impegnati come parlamentari nelle ultime settimane”. Detto questo il documento chiede un intervento sull’Italicum con “una modifica delle soglie per il premio di maggioranza e sulle modalità che permettano ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti”. In favore delle preferenze si sono espressi anche i bersaniani. In favore sia delle riforme costituzionali che dell’Italicum, invece, i senatori riformisti vicini a Renzi, come Marcucci e Mirabelli.

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