Da una parte nessun incontro risolutivo tra Matteo Renzi e i senatori del Pd che si mettono di traverso alla riforma del Senato: il presidente del Consiglio non si è presentato all’assemblea. Dall’altra il rinvio (il secondo) del tavolo sulla legge elettorale con il M5s rischia di far perdere la pazienza a Beppe Grillo: “Si prende atto – dice – che il Pd preferisce gli incontri al chiuso di cui nessun cittadino sa nulla con un pregiudicato con il quale si appresta a fare la ‘riforma’ della giustizia”. Renzi impiega per rispondere giusto il tempo di prendere il cellulare e scrivere un tweet: “Io sono un ebetino, dice Beppe, ma almeno voi avete capito quali sono gli 8 punti su cui #M5S è pronto a votare con noi? #pochechiacchiere“. Poco dopo chiarisce, sempre su Twitter. 

“E’ giusto, a questo punto, fermare il confronto” accelera il capogruppo M5s al Senato Maurizio Buccarella. Ma pochi minuti Grillo precisa: “Per chi non ha capito, o non ha voluto capire, tra il mio intervento di oggi e la conferenza stampa di Di Maio e Toninelli non vi sono contraddizioni, le porte per una discussione sulla legge elettorale per il M5S sono sempre aperte, né mai le ha chiuse nonostante continue provocazioni”. Il punto politico è che da una parte da ora “non concediamo più un millimetro” e che dall’altra però “nessuno potrà più imputarci di non aver cercato il dialogo”. Dunque il dialogo prosegue. Per il Pd è indice di “confusione”: “Giusto non fidarci, M5s in stato confusionale – dichiara Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd – Forse avevamo ragione a chiedere risposte precise, puntuali e scritte ai 10 punti proposti dal Partito Democratico”. In realtà poi la risposta scritta con i 10 sì è arrivata dopo una giornata di scontri verbali tra i due leader, ma anche tra i parlamentari di Pd e M5s.

Il Pd quelle risposte scritte le ha chieste per tutto il giorno, fino all’ultimo, tanto da far saltare l’incontro già fissato da giovedì scorso. Non era bastata l’intervista al Corriere della Sera con cui Di Maio aveva aperto a 8 dei 10 punti fissati dal segretario Pd. “Io credevo che l’obiettivo fosse fare una legge elettorale in 100 giorni – ha ironizzato a un certo punto della giornata Di Maio – e non scriversi in carta bollata per 15 giorni. Se vogliono farla per corrispondenza lo dicano”.

Giachetti: “Risposte scritte, M5s contraddittorio”. Di Maio: “Non ci provare”
La sintesi dell’incomprensione tra democratici e grillini è fotografata in uno scambio di tweet tra due vicepresidenti della Camera, Roberto Giachetti e lo stesso Di Maio.

 

 

Scontri interni al Pd: “Chi vota contro è fuori dal gruppo”
In realtà la situazione è meno chiara di quanto si pensi. Le motivazioni ufficiali si sovrappongono a quelle meno ufficiali. Tra queste c’è che il Pd continua a vivere ore difficili per via degli scontri interni. L’assemblea congiunta in programma in serata è il preludio a un’altra settimana di passione dentro al partito. Tanto che al termine dell’assemblea il senatore Giorgio Tonini spiega che l’approdo in Aula del testo per la riforma del Senato non sarà più mercoledì (come previsto dalla conferenza dei capigruppo e sperato dal governo), ma giovedì se non addirittura martedì 15. L’intenzione però, in questi giorni, è anche quella di dare un ultimatum ai dissidenti che da parte loro aspettano solo che ci sia un testo definitivo su cui ragionare (ma intanto presentano emendamenti a cascata). L’assemblea si è conclusa decidendo che una volta che la commissione avrà approvato il testo definitivo, si terrà una nuova assemblea in cui si voterà sul testo. Questo voto, ha spiegato il vicecapogruppo Giorgio Tonini, “impegnerà tutti i senatori ad appoggiare il testo in Aula”. Per quanto riguarda l’articolo 67 della Costituzione che assicura l’assenza di vincolo di mandato, “esso – ha spiegato Tonini – garantisce solo che se si vota in dissenso si rimane senatore”. Una frase che tra le righe chiarisce senza mezzi termini che chi vota contro rischia di finire seriamente fuori dal gruppo del Pd. 

 

Grillo: “Renzi è un ebetone pericolosissimo, sbruffone”
Certo, al netto della precisazione sulla prosecuzione del dialogo, Grillo non aveva risparmiato toni duri (cioè quelli a cui ha abituato tutti da tempo): si va, aveva detto, verso “una dittatura fatta da questo ebetino, che è un ebetone pericolosissimo, quindi molto sottovalutato anche da me, e questo mi dispiace, ma andiamo verso veramente una grande criminalità organizzata di stampo democratico. Quindi io esorto veramente le persone, i cittadini, anche i componenti di altri partiti, se hanno ancora un po’ di barlume di democrazia dentro: non si può fare fuori l’opposizione così, fare finta, questa è gente falsa, ipocrita“.

Secondo il leader M5s “si prende atto che Renzi, le cui palle sono sul tavolo di Verdini e Berlusconi, rifiuta con il M5S ogni confronto democratico e che l’Italia dovrà pagarne tutte le conseguenze” (frase poi tagliata dal testo pubblicato sul blog). Grillo parla di “tramonto della democrazia”. “Stiamo scivolando lentamente verso una dittatura a norma di legge, il M5S non resterà a guardare e spera che i sinceri democratici che esistono negli altri partiti facciano altrettanto”. D’altra parte il suo Movimento “rappresenta milioni di italiani – continua – che non possono essere trattati come dei paria, come dei cani in chiesa da personaggi mai eletti in libere elezioni, da sbruffoni della democrazia“. 

L’incontro rinviato e il documento del M5s
La miccia del confronto tra Pd e M5s era stata la notizia che l’incontro sulla legge elettorale tra Pd e Cinque Stelle non ci sarebbe stato. “Senza una risposta scritta non si fa nulla” scrive il capogruppo democratico a Montecitorio Roberto Speranza. Il messaggio ha fatto scattare la reazione di Di Maio: “D’ora in poi parliamo solo con Renzi. Ci dicano cosa vogliono fare: questa confusione non serve a nessuno”. E ha pubblicato su Facebook un documento che i Cinque Stelle avrebbero presentato se ci fosse stato l’incontro: “Voti di preferenza, Parlamento pulito (quindi mai più condannati in Parlamento), ‘no alle candidature plurime, zero sbarramenti e ‘sì’ a doppio turno di lista (e non di coalizione). Una risposta ai 10 punti di Renzi, con in aggiunta alcune richieste. Insomma per l’M5S chi deve chiarirsi le idee sono i democratici: “Ho parlato con Lorenzo Guerini giovedì e avevamo fissato l’incontro per oggi alle 12. Abbiamo saputo che il faccia e faccia sarebbe saltato questa mattina attraverso comunicati stampa. Oggi si è mancato di rispetto a cittadini italiani, che si aspettavano un incontro in streaming, cosa che non abbiamo visto con Berlusconi. D’ora in poi noi parliamo solo con Renzi. Il Pd dica cosa vuole fare: questa confusione non serve a nessuno”. 

 

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