Il ministro Mogherini ha lanciato ieri segnali rassicuranti circa il rapporto tra Italia e Germania in materia di flessibilità sul patto di stabilità. L’intervento della Mogherini fa seguito ad alcune dichiarazioni non proprio concilianti, da parte del presidente di Bundesbank Weidmann, del capogruppo del Ppe Weber, e del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble.

Ovviamente le dichiarazioni di Mogherini e dei tedeschi sembrano in stridente contrasto, ma può darsi che ci siano necessità politiche formali che in “camera caritatis” vangano superate con sano pragmatismo; certo è che la Germania, in ciò godendo dell’appoggio di altri paesi quali Finlandia, Olanda e altri, mostra molte preoccupazioni circa l’allentamento delle regole del patto di stabilità, anche se finalizzato a parole a rilanciare l’economia Italiana in particolare ed Europea più in generale. Il problema potrebbe essere che i paesi del Nord Europa non siano troppo convinti che le risorse liberate dall’ammorbidimento delle regole di rigore finirebbero per dare un reale impulso all’economia e su questo è difficile dare loro torto. Infatti, purtroppo, l’esperienza degli ultimi governi e anche quella, sinora, di questo governo, ci hanno mostrato come l’indebitamento dello Stato italiano non sia andato “keynesianamente” a dare impulso all’economia tramite investimenti in infrastrutture, supporto alle iniziative imprenditoriali, miglioramento del sistema educativo, ma, al contrario, che sia il debito che le imposte continuamente crescenti sia a livello nazionale che locale, sono finite regolarmente in malversazioni, assistenze varie, sprechi e male gestioni.

Non credo che il punto del contendere sia tra l’approccio keynesiano e quello rigorista, ma piuttosto sul dove finirebbero le risorse messe a disposizione dello Stato; non posso dare torto ai tedeschi se temono che qualche ulteriore miliardo di euro in Italia finisca per continuare a mantenere alcuni posti di lavoro statali che dovrebbero essere trasformati in sussidi di disoccupazione, ad aiutare aziende decotte che falliscono non solo per incapacità imprenditoriale e gestionale ma anche con la complicità di dipendenti e sindacati che hanno per anni strappato e difeso privilegi antieconomici e non concorrenziali, a erogare pensioni largamente sproporzionate ai montanti contributivi, a mantenere tenacemente vive parecchie municipalizzate che sperperano denaro pubblico e un po’ di enti dichiarati già più volte inutili, a consentire agli enti locali di perseverare nell’allegra procedura del tassa e spendi, a salvaguardare lobby varie tramite leggi, leggine e norme fatte ad hoc, a foraggiare una burocrazia più nociva che inutile, a lasciare che continuino i flussi di denaro verso corrotti e criminalità e verso il voto di scambio.

Mi pare che la richiesta primaria dei “rigoristi” sia di vedere con chiarezza una riforma globale della presenza dello Stato Italiano nella vita dei cittadini, che elimini tutte quelle cose di cui sopra (e qualche altra che ho sicuramente omesso) e convogli una buona volta le risorse verso le necessità vitali del paese, inclusa la riduzione significativa del carico fiscale su individui e imprese; solo a valle di questo, forse, sarebbero disposti ad “allentare la cinghia”. In questo loro approccio hanno sicuramente un peso la loro cultura e religione, di stampo protestante e non cattolico, ispirate molto di più alla pratica dell’etica ex ante che non al perdono ex post.

Si può dare loro torto? Stando alla nostra storia recente sicuramente no; Renzi, tuttavia ha cercato un’apertura di credito, lasciando intendere che finalmente il suo governo farà le riforme che servono e che quindi l’Europa deve avere fiducia e sostenerci; in questo passaggio tocca allora andare a guardare i primi atti del governo e, con un atto di fede, le sue promesse riformistiche; può essere che io abbia fatto errori di valutazione sulle “tracce” di riforme fatte fino a ora e che abbia mal letto i programmi, ma non mi pare di avere visto intendimenti di trasformazione delle numerose forme di assistenza a privilegiati in incentivi a costruirsi e meritarsi un buon tenore di vita, né di prospettive reali che la burocrazia verrà sfrondata in termini di riduzione delle norme e degli adempimenti, né di valutazioni qualitative e non quantitative circa dove e perché si debba prelevare la ricchezza di cittadini.

Viceversa, l’erogazione di 80 euro ai redditi da lavoro dipendente più bassi, finanziati con altri prelievi, i contributi di solidarietà e le deindicizzazioni delle pensioni basate solo sul “quantum”, l’aumento delle imposte, la vicenda Alitalia, l’andatura da gambero su alcune riforme della pubblica amministrazione, i criteri spiegati dal ministro Madia circa la sostituzione a parità di costo di personale messo a riposo con personale giovane, la licenziabilità dei dirigenti pubblici non abbinata a provvedimenti di mobilità per i livelli più bassi, suggeriscono che la musica non cambierà o, a essere benevoli, cambierà molto poco. Credo che anche la percezione di tedeschi, olandesi etc. sia questa: uno Stato che continuerà, in nome del politicamente corretto, del “perdonismo” e dello spirito assistenziale cattolico, a tassare (male e in modo squilibrato, basti pensare all’evasione fiscale e ai premi che riceve sotto forma di agevolazioni nell’accesso ai servizi pubblici basati sul reddito) e re-distribuire con criteri assai discutibili, assistenziali e finalizzati spesso ad assicurarsi il consenso elettorale. Una strada che in un circolo vizioso non può che portare a maggiori spese, maggiori tasse, maggiore debito, minore competitività, morte dell’imprenditoria, grande e individuale.

Non credo che sarà assolutamente facile, nonostante Mogherini sembri pensarla diversamente, che l’Europa aggiunga qualche altro miliardo di euro alle finanze (ingenti) delle quali ogni anno lo Stato Italiano dispone e mal spende, con la prospettiva che facciano la stessa fine.

Quindi, in assenza di un cambio tangibile di paradigma, accettando che ciò renda impopolare un governo che sembra tenere molto alla propria immagine, non solo non avremo più elasticità dall’Europa, ma neppure potremo mai attuare strategie keynesiane positive, che cioè investano risorse dello Stato per creare ricchezza; sembra che il nostro Stato riesca solo a diffondere progressivamente la povertà…

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