A giugno l’accordo con Bpi Italia sembrava a portata di mano. Al ministero dello Sviluppo era stato firmato un accordo che prevedeva la fine della procedura di mobilità per i 450 dipendenti dello stabilimento Ideal Standard di Orcenico di Zoppola (Pordenone) e il ricorso alla cassa integrazione in deroga fino a dicembre. Ma negli ultimi tre giorni la situazione è precipitata. E, a meno di colpi di scena, il 18 luglio i lavoratori dello storico insediamento industriale friulano saranno licenziati. Venerdì infatti i manager del colosso dei sanitari e delle rubinetterie, di proprietà del fondo statunitense Bain Capital, hanno annunciato l’uscita dall’Unione industriali di Pordenone per “gravi e insanabili divergenze tra la multinazionale e i vertici dell’associazione”. La territoriale dal canto suo ha dato l’aut aut alla società sulla necessità di rispettare i patti. Il presidente Michelangelo Agrusti ha definito “imbarazzante” il fatto che il gruppo abbia “ricambiato la disponibilità del governo a collocare Ideal Standard in una short list di cassa in deroga sino a dicembre con un atteggiamento sprezzante nei confronti di Pordenone, delle sue istituzioni e di quelle nazionali”. Davanti al nuovo scenario, anche Bpi ha lasciato il tavolo. Il gruppo specializzato in riorganizzazioni aziendali, che intendeva costituire una cooperativa di operai che avrebbe poi rilevato lo stabilimento (un’operazione conosciuta come “workers buyout”), ritiene irricevibili le condizioni poste da Ideal Standard per chiudere la mobilità. 

L’esito peggiore possibile, insomma, dopo mesi di trattative, intese dietrofront tra proprietà, fondo e sindacati, con Unindustria e la Regione Friuli Venezia Giulia a fare da mediatori in una partita a scacchi spesso giocata sui tavoli del Mise. Dove per la prossima settimana è stata convocata una nuova riunione. Mentre per lunedì i lavoratori hanno convocato un’assemblea in fabbrica e da martedì, in mancanza di novità positive, intendono occupare lo stabilimento. Tra le cause che avrebbero portato a questa conclusione, secondo Agrusti, anche il tentativo di trovare accordi separati per i tre stabilimenti italiani del gruppo: “Con queste premesse non credo che a Trichiana (Belluno) e a Roccasecca (Frosinone) possano dormire sonni tranquilli. O almeno, non per molto”. 

Articolo Precedente

Taranto, gli schiavi dei call center: “350 euro ogni 31 giorni effettivi di lavoro”

next
Articolo Successivo

Papa Francesco in Molise: la voce di Bergoglio nell’inerzia della politica

next