Poste Italiane potrebbe uscire dal capitale di Alitalia. A dirlo, pur con qualche giro di parole, è lo stesso amministratore delegato del gruppo, Francesco Caio, intervistato da Giovani Minoli su Radio24. Proprio mentre il governo, con il ministro Maurizio Lupi in prima linea, tenta di stringere sull’accordo con Etihad e si prepara a riprendere l’8 luglio la trattativa con i sindacati sugli esuberi, il manager inizia a mettere paletti sul ruolo che in futuro le Poste intendono svolgere rispetto alla compagnia. Il succo è che la partecipazione verrà mantenuta solo “se c’è una logica industriale, se c’è una logica finanziaria”. Solo se “le sinergie che stiamo realizzando con Alitalia” si riveleranno “funzionali” all'”obiettivo fermissimo di sviluppare la nostra presenza nella logistica”, spiega Caio. Insomma, Lupi è avvertito. Il gruppo chiamato nel 2013 a salvare il vettore con un’iniezione di liquidità da 75 milioni di euro, su cui Bruxelles pretende chiarimenti, da ora in poi non intende più fare da puntello. L’investimento sarà valutato come qualsiasi altro. Anche alla luce del piano industriale che l’ad sta preparando in queste settimane e che, stando alle anticipazioni, punterà su un ridimensionamento del settore postale tradizionale, in rosso, e un’accelerazione su e-commerce e la logistica, comparto in crescita ma in cui l’azienda è “un po’ più debole di quello che io mi aspettavo”. 

In più è ormai evidente che Caio ha deciso di rinviare la privatizzazione del 40% del gruppo, che Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan puntavano a mettere in pista entro quest’anno. Prima, ha spiegato mercoledì in audizione alla commissione Bilancio della Camera, chiede che “vengano riscritte le norme che disciplinano l’attività dei recapiti”. E in particolare le regole sulla remunerazione del servizio universale, per il quale sostiene costi di “un miliardo” ma “il contributo dello Stato è solo di 340 milioni”. A copertura di quanto speso negli ultimi tre anni Caio chiede un rimborso di 700 milioni di euro l’anno, ma il nuovo modello per la quantificazione dei costi a cui sta lavorando l’Agcom prevede una cifra ben inferiore. Le posizioni, dunque, restano inconciliabili. Nel frattempo è in corso un’altra partita, quella per la firma della convenzione con Cdp per la vendita dei prodotti di risparmio postale. Anche su quel fronte le discussioni continuano, ma non c’è accordo.  

Tanti dossier aperti e “pausa di riflessione” sulla quotazione, dunque. Cattive notizie per il ministero delle Finanze, che dalla privatizzazione delle aziende pubbliche contava di ricavare ogni anno lo 0,7% del Pil. Dopo il flop dell’esordio di Fincantieri sul listino, il piano sembra in stallo. Padoan ufficialmente nega rallentamenti, ma, secondo Repubblica, ora per far cassa sta pensando di mettere subito mano alla vendita – per un corrispettivo di circa 4,7 miliardi – del 5% di Eni ed Enel. Non solo: il ministro vorrebbe cedere alla solita Cassa depositi e prestiti la sua quota in StMicroelectronics. Di fatto una partita di giro, visto che Cdp è pubblica per il 70%. Ma di questi tempi ogni intervento che, in un modo o nell’altro, vada a ridurre l’indebitamento pubblico è benvenuto. Bisognerà vedere se la Cassa ci sta. Ultimamente sembra meno incline a farsi tirare per la giacchetta: sempre venerdì il suo ad, Giovanni Gorno Tempiniha zittito i rumor su un possibile ingresso in Alitalia dicendo che augura “successo” alla compagnia, ma un simile intervento “non rientra nel perimetro dello statuto”. Che, per tutelare il risparmio postale, esclude investimenti in aziende in perdita. 

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