Eccolo il tesoro di Silvio Fanella, quel bottino che in tanti cercavano da almeno due anni. Il movente – molto probabilmente – dell’agguato che lo ha colpito mortalmente giovedì mattina nel quartiere romano della Camilluccia. Era nel piccolo borgo di Pofi, 4 mila abitanti, in provincia di Frosinone: 34 bustine contenenti diamanti, 284 mila dollari in contanti e 118mila euro, 5 orologi preziosi tra cui un Rolex con diamanti incastonati. A poche ore dall’omicidio i carabinieri del Ros e la squadra mobile di Roma – su delega del pm Paolo Ielo – sono arrivati al nascondiglio segreto del cassiere di Gennaro Mokbel, l’uomo che manovrava i conti dell’affare “Telecom Sparkle-Fastweb”. Il depositario, molto probabilmente, delle chiavi di accesso ad una parte del frutto della gigantesca operazione di truffa e riciclaggio al centro del processo che si è concluso lo scorso ottobre, con pesanti condanne. Un fascicolo che non era del tutto chiuso, con un’inchiesta stralcio ancora in corso.

La caccia ai soldi di Fanella era iniziata almeno due anni fa. Tra le carte di un’indagine della Procura di Potenza sui clan di Melfi c’è un’informativa dei carabinieri che rivela un piano per il rapimento del “cassiere” di Gennaro Mokbel. A raccontare per primo la vicenda è stato il Quotidiano della Basilicata un mese fa. L’informativa del Reparto operativo dei carabinieri di Potenza – arrivata sul tavolo del pm Basentini nell’ottobre del 2013 – ricostruisce le fase organizzative di un tentativo di sequestro di Fanella, “posto in essere – scrivono gli investigatori – da Barbetta Aniello, Plastino Giovanni, Mecca Roman Giuseppe e Macori Roberto”. La vittima non è indicata, ma molti elementi portano a Fanella. Il più evidente è l’indirizzo della casa “attenzionata” dal gruppo: “A 20 metri dall’incrocio il punto segnalato dal Gps dell’auto di Barbetta abitava un altro dei membri della “banda”, Fanella”, ricostruiva il Quotidiano della Basilicata il 29 maggio scorso. C’è poi un nome chiave per interpretare il tentativo di rapimento dell’agosto del 2012, quello di Roberto Macori. Non è un personaggio qualsiasi: era lui il procacciatore di voti per l’ex senatore Nicola Di Girolamo, inviato proprio da Gennaro Mokbel in Germania a racimolare preferenze tra gli immigrati italiani: “Insieme a Giovanni Gabriele siamo entrati nel quartiere turco, l’abbiamo attraversato… non sai che cosa vuol dire… siamo entrati in una casa di disperati italiani… col cane che abbaiava, la ragazzina che cacava… e ci hanno dato una ventina di voti…”, raccontava in una delle intercettazioni allegate alla richiesta di arresto dell’ex parlamentare. Macori, una volta finito in carcere, conosce Giovanni Plastino – riferiscono i carabinieri di Potenza – un boss della mala del Volture. Dopo pochi mesi avrebbe commissionato il sequestro: “numerosi” sono stati i contatti telefonici – spiegano gli investigatori – “durante le settimane antecedenti il tentato rapimento”. Il movente era chiaro: “Lo devo menare e devo stare insieme con loro quando vanno a prendere i soldi”, commentavano tra di loro gli uomini di Melfi. Dunque una caccia al tesoro, un sequestro per convincere Fanella a rivelare il nascondiglio di parte del bottino sparito.

Nella loro informativa i carabinieri di Potenza ricordano un dato essenziale per capire cosa si muove sotto l’area dell’estrema destra romana: “Parte dei soldi della colossale frode (Telecom Sparkle-Fastweb, ndr) sarebbero finiti in mano alla ‘ndrangheta, in particolare al clan Arena, che li avrebbe impiegati per organizzare l’elezione del senatore del Pdl Nicola Paolo Di Girolamo”. Un link diretto tra la holding criminale che ruotava attorno a Gennaro Mokbel e le cosche calabresi. Alleanze pericolose, che possono portare alla morte se i patti non vengono rispettati.

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