“In Italia c’è il Vaticano”. Espressione retorica uscita recentemente dalle labbra di un giovane urologo, dopo avermi comunicato che non avrebbe potuto effettuare la vasectomia su mio marito. Facciamo un passo indietro…

Qualche mese fa scrivevo sul Fatto di come la vasectomia – la chiusura dei due canali deferenti nell’uomo – fosse pratica poco avvezza in Italia. La vasectomia – è bene ricordarlo visto le errate credenze popolari – non è una castrazione e neanche una pratica volta a ridurre la virilità nell’uomo. Si tratta della sterilizzazione maschile più risolutiva, anche se in realtà c’è spazio per una certa percentuale di reversibilità. Ebbene, si fa presto a dire vasectomia, ma in Italia nessuno la fa!

Dopo la risposta del primo urologo, mio marito ha cominciato a contattare numerosi ospedali e centri in Italia, da nord a sud; da tutti la stessa risposta “spiacenti, da noi non viene praticata”. Alcuni medici addirittura si sono dimostrati reticenti anche solamente a parlarne al telefono, preferendo un incontro di persona.

La legge in Italia  non è chiara. Fino al 1978 vi era il divieto di sterilizzazione volontaria, poi, con la legge 194 sull’aborto alcuni passi del codice penale sono stati eliminati. In precedenza, era infatti considerato reato qualsiasi atto contro la procreazione. Se un medico vasectomizzava un paziente poteva essere denunciato per lesioni personali gravi. La giurisprudenza recente ha decretato che la procedura – quando consensuale – è in realtà legittima. La Corte di Cassazione sentenzia che la sterilizzazione volontaria “non costituisce reato”, ma che anzi, “la contraccezione può fornire quel benessere che fa parte della salute psicofisica”. Lo stesso articolo 32 della Costituzione tutela come diritto fondamentale la salute dell’individuo, sia questa fisica che psichica, dunque, la sterilizzazione volontaria può offrire giovamento “all’equilibrio psichico dell’individuo che vi si sottopone”. Sempre la Costituzione evidenzia nell’art. 13 che “la libertà personale è inviolabile” e quindi, scegliere una procedura di sterilizzazione, diventa un atto di autodeterminazione. Tuttavia, in Italia il velo di tabù è ancora spesso.

“In Inghilterra, dove ho lavorato per anni, davanti all’ospedale stazionavano dei camioncini utilizzati come ambulatori, all’interno dei quali si effettuavano le vasectomie”. Mi racconta un urologo ligure. “La vasectomia, per noi medici è l’Abc. Di per sé è l’operazione più semplice che ci possa essere”.  Mi racconta un altro.

“Da noi in Italia è ancora un argomento spinoso”. Ammette un ex primario quando raffrontiamo la situazione in America e in Inghilterra, dove invece la pratica è di uso comune. Ma se la sterilizzazione volontaria è considerata una pratica lesiva, c’è qualcosa che non mi torna.

Perché la legatura delle tube nelle donne viene praticata senza troppe restrizioni? Entrambe sono pratiche che conducono allo stesso risultato, eppure vengono applicati due pesi e due misure diverse. Ho provato a fare qualche telefonata e il risultato è stato illuminante. Quattro ospedali chiamati in dieci minuti mi hanno dato il via libera a procedere, previa visita di routine, esami e colloquio con l’anestesista. Nessuna caposala ha accennato alla questione etica.

Con la vasectomia la procedura dura dieci minuti, dopo un’ora il paziente torna a casa. La legatura delle tube – non a seguito di un parto cesareo – richiede l’anestesia totale (“ti facciamo la spinale ma un pochino vieni addormentata comunque”) e una notte di ricovero. Dopo aver scritto il mio articolo sulla vasectomia, orde di maschi si sono scagliati fieri a protezione dei loro gioielli. Un simpaticone ha detto che ero malata!

Già, in Italia c’è il Vaticano.

Ma pure gli  italiani.

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