Cosa succede quando un governo euroasiatico “regala”, o vende a prezzo di realizzo, vecchi caccia ad una nazione che necessita supporto aereo? Abbiamo un cambio di potere che scuote il mondo. Da alcuni anni si riflette nell’ambito dei “salotti internazionali” (per intenderci tutte quelle think tank, dalle poco influenti italiane a realtà americane come la Rand e il CSIS) se sia in atto una nuova guerra fredda.

Il mondo non è più così polarizzato come ai vecchi tempi, ma sembra farsi strada uno scenario che delinea una sorta di nuova cortina di ferro. Volendo tracciare il confine “occidentale” partiamo dai paesi baltici e la Polonia (fortemente atlantisti) fino a scendere in uno dei primi punti caldi l’area Ucraina, ancora contesa. Scendiamo un poco di più e tocchiamo l’area caucasica dove Putin si è assicurato la fedeltà dell’Armenia cristiana (in procinto di partecipare all’Unione Euroasiatica) in contrapposizione con l’Azerbaijan (filo atlantista ma con grandi rapporti commerciali con l’Iran sciita) sul tema del Nagorno Karabak (un altopiano dibattuto da decenni tra i due Stati). La sottile linea diviene più tratteggiata in zona medio oriente. Le zone di faglia e attrito situate in Siria, in Iraq (dove i Curdi si sono assicurati, approfittando del disordine, i siti petroliferi piu’ ricchi, supportati diplomaticamente dal governo israeliano) e in Iran dove il governo sciita se da un lato sembra aprire agli Usa (quanto meno sulla carta) non sembra voler dimenticare il rapporto con Russia e il rapporto commerciale stringente (diciamo un cappio soffocante) con il colosso energivoro cinese.

In tutto questo scenario nelle zone di faglia, specie Siria e Iraq, la presenza indiretta di armamenti leggeri generalmente riferiti ad uno schieramento o l’altro (da ricordare che pur se l’AK47 sia un modello di design russo i maggiori produttori son i cinesi e in Africa ci sono differenti centri di assemblaggio). L’escalation verso armamenti pesanti o le relative contromisure (partendo da sistemi terra aria per abbattere velivoli ad alta quota) rappresenta il primo passo verso un aggiornamento di ogni conflitto. Scusandomi per la lunga digressione appare significativo la scelta di alcuni giorni fa, da parte di Putin, di vender per circa 500$ milioni dei vecchi caccia Sukhoi 25 (5 unità al momento) al governo sciita di Al Maliki

La vendita ha delle connotazioni interessanti per varie ragioni. Allo stato attuale non sembra esistere personale qualificato dell’aeronautica irachena che abbia addestramento adatto per questo mezzo. In una condizione naturale l’addestramento prenderebbe tempo ma questi velivoli devono essere dispiegati, a leggere le affermazioni del premier iracheno, il prima possibile per respingere l’armata dell’Isis.

L’aviazione iraniana ha l’addestramento adatto, e ovviamente il personale russo. E’ da aggiungere che un certo numero di consiglieri militari russi saranno inviati in Iraq. Viene da domandarsi quindi chi potrebbe pilotare, quanto meno all’inizio, questi velivoli. Nel caso (ma si parla di supposizioni) fossero unità militari non facenti parte dell’esercito iracheno il tema potrebbe sollevare alcune domande su chi (e come) sta attivamente partecipando al conflitto iracheno.

Gli americani han dichiarato di esser disponibili ad inviare degli F-16, riporta la tv Qatariota Al Jazeera, le unità non sono ancora sul territorio Iraqeno.

Oltre al tema del personale vi sono anche supposte problematiche (come riportato da Al Jazeera) sui sistemi d’arma che non sarebbero compatibili con i velivoli russi.  Si può supporre, ma si badi bene è solo una speculazione, che la partecipazione e la presenza russa nel mercato degli armamenti in Iraq possa cogliere questa opportunità per accrescere la sua presenza nel mercato delle armi in medio oriente. Lo scenario, per quanto squisitamente commerciale (le armi son pur sempre un prodotto) proietta un possibile cambio di rotta nella politica irachena.

E’ bene ricordare che il governo iraniano e quello iracheno sono entrambi sciiti. Tralasciando la semplice comunanza di fede le due nazioni hanno in essere accordi commerciali per la gestione di gas e la costruzione di condutture per il suo trasporto (in netto contrasto con gli interessi del Qatar che condivide i giacimenti di gas nel mare persiano). Uno scenario in cui i Russi divengono fornitori per gli armamenti (e il relativo supporto di parti di ricambio, addestramento e logistica) dell’attuale governo iracheno potrebbe cambiare gli equilibri della regione e estendere la linea di confine tra il gruppo atlantico e quello euroasiatico.

La posizione americana in Medioriente, con la ridefinizione delle sue posizioni in Iraq, sembra connotare un ridispiegamento delle risorse in aree più calde (come l’Oceano Pacifico nell’area interessata dal commercio da e per la Cina). La scelta di Putin tende quindi ad incastonarsi in una situazione in rapido movimento dove tuttavia il gigante euroasiatico sembra pronto a proiettare la sua presenza economica (ed eventualmente militare) nel Medioriente, tentando di assicurarsi una testa di ponte stabile in Iran, Siria e Iraq.

@Enricoverga

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