Il Giambellino è il quartiere in cui vivo. Ed è conosciuto in tutta Italia per il bar del Cerutti Gino cantato da Giorgio Gaber. Ma vanta anche un triste primato. Quello dell’eroina. All’inizio degli anni Ottanta, infatti, una via del quartiere si trasformò nel primo supermarket della droga italiano, con un andirivieni di 7000 tossici e un fatturato superiore a quello di tutte le fabbriche della zona, le quali intanto andavano a scomparire. Ai tempi, lo sapete, io vivevo a San Vittore, eppure anche da quella posizione (poco) privilegiata potei notare il cambiamento in atto, perché sempre di più furono i tossicodipendenti che finirono in cella. Poi arrivò l’Aids, e fu la catastrofe. Un ragazzo su due del quartiere non arrivò agli anni Novanta.

Ancora oggi, se fate una passeggiata dalle mie parti, potete incontrare qualche sopravvissuto, come il mio amico Carletto. Il quale, poco più piccolo di me, è stato per anni un poli-tossico, e non ha più i denti perché in gioventù se li è venduti per comparsi una dose. Ogni volta che lo incontro, quasi che il passato cui è miracolosamente scampato tornasse ad ossessionarlo, il discorso cade sempre sullo stesso argomento: le droghe. Mi conoscete, io non sono un santo, ma nemmeno mi va di dargli troppa corda su questo argomento. E gli rispondo sempre con le stesse argomentazioni un po’ “disoneste”: il vizio non è mai stato un partito sano…la gente giudica, stai un po’ in campana…eccetera.

Animali che si droganoIl povero Carletto mi è tornato alla mente l’altro giorno, quando sono incappato nel libro Animali che si drogano di Giorgio Samorini. Devo dire che il testo mi ha da subito incuriosito, e non solo perché la copertina ricorda quella di Atom Heart Mother, un disco dei Pink Floyd. Ma anche perché esso contiene una serie di notizie scientificamente rilevanti (e a volte esilaranti). Per esempio, l’amore degli elefanti per l’alcool: i pachidermi si fanno oltre 30 chilometri per trovare frutti fermentati, per poi ondeggiare e cadere al suolo in uno stato letargico. E nel Bengala occidentale, un giorno del 1985, 150 di loro fecero addirittura irruzione in un laboratorio clandestino di alcool, provocando cinque morti. Lo stesso si può dire degli orsi (uno, amante del brandy, passava il suo tempo in una osteria), delle lumache, dei ricci, degli scimpanzé, delle alci e soprattutto dei felini (la Nepeta Cataria è un afrodisiaco per i gatti). Ma l’animale che sembra “avere il primato assoluto nel mondo per la passione verso le droghe più disparate” è la capra, la quale — concedetemi la battuta — è sempre in scimmia. Anche la scoperta da parte dell’uomo del caffè sembra derivi dalla constatazione che queste, dopo aver assunto foglie e bacche della pianta, erano piuttosto nervose.

Certo, non che questa pratica sia scevra da rischi. Spesso gli animali ubriaconi — come gli uccelli che non sono “in grado di stare in piedi” e mettono “le ali al suolo per reggersi”, o come i pettirossi americani che si prendono una “sbornia collettiva” ed entrano nelle case — cadono nelle grinfie dei predatori, oppure muoiono schiacciati dalle automobili (l’ambiente antropico). E allora perché lo fanno? Non si sa, ma per fortuna la scienza ci porta a ragionare, spesso nel tentativo di confutare le visioni dogmatiche e moralistiche. E così fa il saggio di Samorini, il quale parte dall’interpretazione “tolstoiana” (le droghe assolvono al bisogno di nascondere a se stessi le indicazioni dateci dalla coscienza), e passando dalla zoo-farmacognosia (l’automedicazione animale come funzione adattogena), arriva alla scienza degli stati di coscienza, al fattore Po (la funzione “de-schematizzante” atta a “scompigliare i modelli consolidati”), all’Esuberanza Biologica e al Post-darwinismo, ossia teorie “che si stanno facendo strada fra le reticenze della biologia ortodossa”. Il tutto secondo il principio che “non sono le convinzioni che permettono passi avanti nella comprensione dei fenomeni, bensì i dubbi”, e che, soprattutto, “il miglioramento concreto del problema droga passa attraverso il riconoscimento e lo studio scientifico del fenomeno droga e l’individuazione delle variabili che regolano questo fenomeno nel contesto dell’intimo rapporto tra natura e cultura umana”.

Letto il libro mi dirigo subito al bar dove di solito staziona il mio amico Carletto. Vorrei dirgli che se lui oggi è senza denti, non è perché ha commesso un’azione contro natura, ma perché qualcuno si è voluto arricchire su una pratica che in natura fanno tutti, e che quindi lui è un po’ come il pettirosso americano, ossia una vittima dell’ambiente antropico. Beninteso, potrei anche dargli della capra, ma non mi pare bello…Però non lo trovo.

«Zappa, non lo sai?» mi dice il barista. «Il Carletto ha vinto 30.000 euro al gratta e vinci.»

«Ma no, che bello! E cosa ha fatto coi soldi?»

«Si è fatto una dentiera nuova e ha preso un volo per il Brasile

«Solo per i mondiali, spero…»

Giorgio Samorini, Animali che si drogano.

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