Con la riforma del Patto di stabilità e crescita, le regole europee in materia di bilancio sono diventate più flessibili, ma meno comprensibili per i cittadini. Come orientarsi? Proponiamo una guida, iniziando dal saldo strutturale e dall’output gap. Con l’auspicio di stime più precise in futuro.
di  e  (Fonte: lavoce.info)

Regole sempre più complicate

Fino al 2005, le regole di bilancio europee erano piuttosto rigide (“stupide” secondo la definizione dell’allora presidente della Commissione) e pro-cicliche (come quella del rapporto del 3 per cento tra deficit nominale e Pil), ma relativamente semplici e di facile comprensione per i parlamenti nazionali e per le opinioni pubbliche. Con la riforma del Patto di stabilità e crescita nel 2005, lo strumento chiave per la disciplina di bilancio diventa il saldo strutturale. Se l’intenzione era quella di avere una regola più flessibile e meno pro-ciclica, la sua realizzazione ha però introdotto una serie di complicazioni, perché la componente ciclica non può essere misurata con gli ordinari strumenti statistici. Inoltre (come si dirà meglio in un prossimo articolo), le regole sui saldi strutturali sono complesse e difficili da monitorare e comunicare. Così i vincoli europei diventano sempre meno comprensibili ai cittadini.

Incertezza del saldo strutturale e dell’output gap

Il saldo strutturale è il saldo di bilancio pubblico depurato degli effetti del ciclo economico(il bilancio tende a migliorare con l’espansione e a peggiorare con la contrazione) e delle misure una tantum e temporanee, che esercitano effetti transitori sul bilancio. La componente ciclica del saldo di bilancio delle amministrazioni pubbliche si ottiene moltiplicando un parametro di aggiustamento ciclico del saldo di bilancio per la differenza tra il Pil effettivo e quello potenziale (il cosiddetto output gap), e scomputando le misure una tantum e temporanee:

Saldo netto strutturale = saldo netto nominale – effetti del ciclo – misure una tantum =

= saldo netto nominale – (0,55 × output gap) – misure una tantum

Il parametro di aggiustamento è una semi-elasticità, stimata con metodi statistici dalla Commissione e per l’Italia è pari a 0,55 (molto vicina al valore che assume per la Francia e la Germania). In questa equazione, il Pil effettivo e il saldo nominale di bilancio sono grandezze direttamente osservabili e misurabili, mentre l’output gap non lo è, perché non lo è il Pil potenziale, cioè il prodotto che si otterrebbe con il massimo impiego possibile dei fattori produttivi (capitale e lavoro) in assenza di spinte inflazionistiche.

Dato un certo saldo netto nominale negativo (per esempio il 3 per cento) e date le misure una tantum (generalmente di scarso rilievo), più negativo è l’output gap (cioè più in recessione è l’economia) e meno negativo diventa il saldo netto strutturale, con la conseguenza che le manovre correttive sono inferiori.

Esistono sostanzialmente due metodologie per il calcolo dell’output gap. La prima utilizza un approccio statistico di de-trendizzazione, ossia di eliminazione della componente di trend. La seconda stima le relazioni strutturali (metodo della funzione di produzione). La Commissione europea ha utilizzato fino al 2002 il primo approccio. Per ovviare a parte degli inconvenienti di quel metodo (la tendenza a ritenere permanenti gli shock temporanei che colpiscono l’economia e l’impossibilità di distinguere tra shock di domanda e shock di offerta), nel luglio 2002 il Consiglio dell’Unione decise di optare per l’approccio econometrico basato sulla funzione di produzione.

Questo metodo ha molti pregi, ma non è immune da due dei problemi propri anche del metodo statistico, ossia la dipendenza delle stime dalla revisione statistica delle serie storiche e la distorsione alla fine della serie (end point bias). Le implicazioni di queste debolezze sono rilevanti. Se l’output gap viene rivisto per il passato o per il futuro – a parità di saldo nominale di bilancio, del parametro di semi-elasticità e delle misure una tantum – il saldo strutturale assume un valore diverso da quello calcolato in precedenza. Non vi è dunque certezza assoluta dei numeri, nemmeno retrospettivamente.

Nella tabella 1 vengono riportati i valori per l’indebitamento netto, l’output gap e l’indebitamento netto strutturale per gli anni 2012-2015 indicati nei documenti programmatici del Governo italiano, la Nota di aggiornamento al Def 2013 (pubblicata nel settembre 2013) e il Def 2014 (pubblicato nell’aprile 2014).

Tabella 1 – Saldi nominali e strutturali nei documenti programmatici governativi
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Fonte: Nota di aggiornamento al Def 2013; Def 2014.

L’output gap per l’anno 2012 assume valori diversi nelle stime del settembre 2013 e in quelle dell’aprile 2014, pur trattandosi di un anno ormai passato. Di conseguenza, l’indebitamento netto strutturale per l’anno 2012, è pari a -1,3 nella stima della Nota di aggiornamento e -1,4 nella stima del Def 2014, pur con indebitamento netto nominale costante. Considerazioni analoghe si possono fare per l’anno 2013. La variazione della stima dell’output gap per il 2012 e il 2013 è dovuta alla revisione, tra il settembre 2013 e l’aprile 2014, del quadro previsionale macroeconomico. Nell’ambito del meccanismo del Patto di stabilità e crescita riformato, l’incertezza intrinseca delle stime di output gap può determinare una diagnosi sbagliata sulla posizione delle economie nel ciclo (fiscal stance) e una risposta di policy errata.

Gli effetti sul tasso di disoccupazione

Ma c’è di più, visto che lo stesso Def 2014 riconosce come “i parametri necessari alla stima del tasso di disoccupazione strutturale sono particolarmente soggetti a discrezionalità”. Il tasso di disoccupazione strutturale, noto anche come Nawru (il tasso compatibile con la stabilità dei salari), non è osservabile e la sua stima è parte del metodo della funzione di produzione per la stima del Pil potenziale e, quindi, dell’output gap. La Commissione europea, nelle sue previsioni a cadenza semestrale, ha ipotizzato un progressivo aumento del tasso di disoccupazione strutturale per l’Italia.

Nelle previsioni di primavera 2014, assume che nel 2013 il tasso di disoccupazione strutturale fosse pari al 10,4 per cento e che sarebbe destinato ad aumentare ulteriormente nel 2014 (10,8 per cento), fino all’11 per cento nel 2015. 
Si tratta, come rileva il Cer, di stime discutibili, poiché implicano che non sarebbe possibile portare la disoccupazione italiana al di sotto del 10,8 per cento senza provocare tensioni inflazionistiche, in un contesto in cui appaiono invece forti segnali di deflazione. 

Dal 2011 in poi, la Commissione ha rivisto verso l’alto il Nawru per l’Italia, mentre la recessione peggiorava. Infatti, la metodologia utilizzata dal Commissione per la stima del dato incorpora nel tasso di disoccupazione strutturale una parte consistente dell’aumento effettivo della disoccupazione, secondo l’ipotesi di “persistenza” del tasso di disoccupazione. Da questo approccio, tuttavia discendono conseguenze rilevanti per la finanza pubblica. Ipotizzando un tasso di disoccupazione strutturale inferiore, si ottengono output gap maggiori di quelli che si hanno fissando il Nawru ai livelli adottati dalla Commissione. Stefano Fantacone, Petya Garalova e Carlo Milani hanno mostrato che, con un Nawru stimato al 9 per cento per quest’anno, il saldo strutturale per l’Italia sarebbe + 0,1 e non -0,6, come stima invece la Commissione. In altri termini, il pareggio di bilancio (in termini strutturali) sarebbe stato già raggiunto.

Evitare la stupidità delle regole

Se poi, come si dirà in un altro articolo, la riduzione del Pil potenziale e l’aumento del Nawru fossero da attribuirsi in misura rilevante alle politiche di austerity avviate in tutta l’Eurozona su spinta della Commissione, avremmo il paradosso che una riduzione della crescita potenziale innescata da politiche di bilancio restrittive provoca un peggioramento dei saldi strutturali, i quali dovrebbero portare a ulteriori misure di austerity. Anche per evitare un riproporsi del giudizio di “stupidità”, la metodologia comune europea richiede degli affinamenti di natura teorica. Sarebbe forse opportuno un maggior coinvolgimento dell’accademia europea nel lavoro di ricerca svolto dai servizi della Commissione.

Nel marzo di quest’anno la Commissione, con l’accordo degli Stati membri, ha modificato la metodologia per la determinazione del tasso di disoccupazione strutturale, riducendone il grado di pro-ciclicità sopra illustrato.
Tuttavia, la strada da percorrere per rendere ancora più affidabili le stime sull’output gap non è breve.

Bio degli autori 

Andrea Boitani – Ha ottenuto l’M.Phil. alla Università di Cambridge, dove ha anche svolto attività di insegnamento. Attualmente, insegna Economia politica all’Università Cattolica di Milano ed Economia della regolazione al Master in Economia pubblica e al Dottorato in Economia e finanza delle amministrazioni pubbliche, presso la stessa università. Ha fatto parte della Commissione Tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero del Tesoro dal 1993 fino al suo scioglimento, nel 2003. E’ stato consigliere economico del Ministro dei Trasporti e componente delle commissioni incaricate di predisporre il Piano Generale dei Trasporti (1999-2001) e il Piano Nazionale della Logistica (2004-2005). E’ autore di varie pubblicazioni nei campi della Macroeconomia e dell’economia della regolazione e dei trasporti. Redattore de lavoce.info.

Lucio Landi – Laureato presso l’Università Cattolica di Milano, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in economia politica presso l’Università di Pavia. Ha lavorato presso il Ministero dell’Economia, il Fondo Monetario Internazionale e il Servizio Bilancio del Senato della Repubblica. Attualmente è membro del Consiglio degli Esperti del Tesoro e tiene lezioni e corsi presso varie istituzioni e università. Si occupa di questioni internazionali, europee in particolare, di finanza pubblica e di spending review. 

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