Una scarpa col tacco è afferrata dalla mano della sua proprietaria. Viene agitata per aria, a mo’ di clava. E finalmente è scagliata verso la polizia, con rabbia, con tutta la forza possibile. È una scarpa col tacco numero 45, ed è la sciccosissima calzatura di Sylvia Rivera, una delle tante transessuali che la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 si trovavano dentro un famoso locale gay di Christopher Street, a Manhattan: lo Stonewall Inn. La rabbia di Sylvia non è ancora soddisfatta. Ha almeno un altro calzare da tirare e la sua dignità di transessuale da difendere. Quando pure il secondo stiletto sarà stato lanciato, rimangono tutte le bottiglie di birra, i bicchieri e le bottiglie di liquore del bar. Sylvia e gli altri avventori dello Stonewall – per lo più altre transessuali, ma anche uomini gay e qualche lesbica – sono furiosi. I controlli della polizia di New York sono sempre meno giustificabili e più odiosi.

Il commissariato della città è in mano a un pugno di fascisti omofobi, come del resto è omofobica l’intera società statunitense del 1969, nonostante gli anni siano quelli dei grandi fermenti del Novecento: la rivoluzione studentesca del 1968, il movimento di liberazione degli afro-americani, il movimento pacifista contro la guerra del Vietnam. Tuttavia Harvey Milk, a San Francisco, è ancora uno sconosciuto e privato cittadino, e lo stesso quartiere di Castro, così come il Greenwich Village di New York sono considerati i quartieri degli artisti, non ancora percepiti come “gay village”. Il movimento per la liberazione degli omosessuali americani è agli albori, deve ancora scrivere tutte le sue pagine migliori.  Fino a quella sera di fine giugno 1969, essere omosessuali o transessuali significava soltanto essere “queer”, cioè “strani”, “malati”, “invertiti”. E significa essere discriminati da tutti. Le leggi di quel 1969 sono chiare, dure e sbagliate: esiste perfino un divieto di travestimento. Ogni avventore dello Stonewall Inn deve indossare per obbligo di legge almeno tre indumenti consoni al proprio genere e se le cose stanno diversamente, si viene arrestati e portati al commissariato per accertamenti. Si finisce in galera per come si è vestiti, nella New York del 1969.

Sylvia Rivera ha paura. Ha paura dei manganelli delle divise, ha paura delle ispezioni corporali, ha paura che una volta arrestata e sbattuta in galera per una notte o più, le possa accadere qualcosa di tremendo. Ma Sylvia e le sue amiche, oltre ad avere paura, non ne possono più. Sono esasperate da tutte quelle violenze, da quegli abusi, da quelle risatine che quasi tutte le sere il Nypd le rovescia addosso. Lei e le altre clienti dello Stonewall Inn sono stanche marce di essere trattate peggio di animali. Ed ecco che Sylvia sente arrivare da dentro una molla fortissima, che supera l’intensità della paura. È la forza della rabbia. È in quel momento, nel bel mezzo dell’ennesimo sopruso subìto, che Sylvia afferra la sua scarpa e la scaglia urlando “Gay Power!” contro le guardie. Subito viene imitata da tutte le sue amiche e dagli altri gay dentro al locale. I policemen sono colti di sorpresa: non è mai successo prima che i finocchi si ribellassero a una ispezione. I poliziotti non sono equipaggiati per resistere a una sommossa. Si spostano in un angolo del locale, tentano di ripararsi con dei tavoli e delle sedie. Sylvia e gli altri avventori li bersagliano per un buon quarto d’ora. Poi, mentre gli sceriffi chiamano rinforzi coi walkie-talkie, le transessuali, i gay e le lesbiche scappano fuori dal locale, vanno a chiamare i loro rinforzi a voce: l’intera Christopher Street ha sentito prima le sirene delle pattuglie, poi le urla e il gran baccano, ed è scesa in strada. Sylvia e le altre gridano, cantano, invocano una rivolta popolare. La gente scende, armata di quello che può: sassi, bottiglie, bicchieri, mazze, perfino un parchimetro, usato come ariete. Lo adoperano per sfondare le porte dello Stonewall Inn, dove la polizia si è intanto barricata. Ora sono le guardie a essere spaventate. Ma in strada, fuori dal locale, adesso ci sono centinaia di finocchi e transessuali e lesbiche e gay e bear e leather e checche e travestiti, che premono per entrare nello Stonewall e strappargli, metaforicamente, la stella dal petto. Quando arriveranno i 400 rinforzi in divisa, si troveranno davanti a una rivolta di strada che avrà raggiunto le duemila unità. Una insurrezione che si estende per tre giorni e che mette a soqquadro un’intera parte di Manhattan. Le finocchie hanno detto basta. Hanno smesso di essere favolosamente ironiche e si sono incazzate. Sono i moti dello Stonewall.

Sono passati 45 anni dalla rivolta di Christopher Street. Quella notte segna la nascita di un movimento per i diritti delle persone Lgbt e contro la discriminazione. Una notte che viene celebrata e ricordata in cinque continenti attraverso la marcia del Gay Pride all’incirca ogni 28 giugno. Buon Pride a tutte e a tutti, ovunque voi siate, chiunque vi sentiate di amare.

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