Amici, stavolta il lavoro lo lascio a voi. Mi limiterò a condividere un fatto che mi è accaduto un paio di settimane fa e a rovesciarvi addosso il malessere che mi ha lasciato. Lascerò domande sospese, perché non saprei rispondere. Credo che certe condizioni di vita possa capirle e raccontarle solo chi le affronti, le sopporti e le subisca. Chi le patisca, insomma. Quindi non penso di potermi esprimere in maniera definitiva, insindacabile. Per domandare sì, però; per arrabbiarmi sì, eccome. Per le risposte, chiedo aiuto a voi. Spazio ne avete, occupatelo per aiutarmi a capire. È accaduto un pomeriggio, nei paraggi della sede della mia cooperativa. Ero appena giunto in auto con un altro socio e, smontando, ho notato al di là del cancello una figura familiare, un altro socio che stava sistemando non saprei dire cosa. Ho iniziato a indicarlo in modo plateale, per portare su di lui l’attenzione del socio che era al mio fianco, e indicandolo parlottavo e sorridevo. Non ricordo perché e non credo che ora abbia rilevanza alcuna. Diciamo che indicavo un conoscente, punto e fine. Niente di che. Ecco, è iniziata così.

Dall’altra parte della strada, sul marciapiede opposto, camminava un tizio, piuttosto malmesso e provato. Dalla vita, credo. Transitando s’è trovato sulla traiettoria del mio indicare e del mio sorridere. Si è immediatamente irrigidito, ha rallentato. Ha preso a fissarmi, a sollevare il mento, a fare domande mute. Domande del tipo, beh, cazzo vuoi? Al che mi sono irrigidito io, ho percepito una nota stonata nella situazione. Lui ha attraversato la strada e si è avvicinato e dalle domande mute è passato a quelle esplicite, ma il succo non è cambiato. Aveva un tono aggressivo e, negli occhi, una rabbia che mi ha spaventato, una rabbia per me difficile da spiegare. Però quella di spiegare, di spiegarmi, è divenuta allora un’urgenza. Guarda che non ce l’ho con te, ho provato a spiegare, agganciandolo col tu per sfruttare la vicinanza dei volti. Guarda che stavo indicando quella persona là. Lì per lì non mi ha creduto, pensava che lo stessi ulteriormente prendendo in giro. Poi ha avuto la bontà di girarsi, ha potuto verificare che oltre il cancello c’era davvero un’altra persona. Forse ha potuto anche notare che sulla mia faccia non c’era segno di beffa alcuna. Insomma, ha potuto prendere atto della veridicità delle cose. E lì è franato. La rabbia e l’aggressività che l’avevano tenuto di fronte a me sono svaporate, lasciando il campo a una sorta d’infinito scoramento. Il suo viso è crollato, insieme alle spalle. Si è piegato come se tutto d’un tratto fosse comparsa una seconda forza di gravità. La voce si è rotta, mentre mi chiedeva scusa, sincero. In pochi istanti si è sfogato.

Mi ha raccontato che è tutta la vita che la gente si prende gioco di lui, lo indica, lo deride. La gente lo segna a vista, diceva, e poi ride, sorride, sogghigna. Lo prende per il culo. Gli capita che, mentre cammina, qualcuno cambi apposta marciapiede per presentarsi davanti a lui e prenderlo dentro, urtarlo spalla contro spalla, sbilanciarlo fin quasi a farlo cadere. La gente, diceva, non mi lascia mai in pace. Non ne posso più. Ecco perché ho reagito così. Ci siamo spiegati, quindi, ci siamo capiti, ci siamo salutati. Fine dell’equivoco e dell’episodio. Lui si è seduto su un gradino ed è rimasto lì, coi suoi pensieri. Io sono andato a far quel che dovevo fare. Non so chi fosse, quella persona. Ignoro se quel che mi ha raccontato sia vero oppure no, se sia frutto di paranoia, se sia un vissuto semplicemente esagerato da ipersensibilità legata ad una condizione di vita complicata. Però, a scommetterci un euro, dico che è tutto vero, poiché drammaticamente verosimile. E infatti ecco sorgere le domande…Quanto può essere inquinata, una vita, dall’accanimento della cattiveria e della stupidità? Capitemi bene: non dall’intolleranza, l’ignoranza, il razzismo o questa o quella fobia o mania di turno. No, intendo proprio e semplicemente cattiveria e stupidità. Ecco: quanto si può rendere infelice una persona costringendola a difendersi, ogni santo giorno, dalla cattiveria e dalla stupidità? A scuola, in ufficio, in famiglia, per strada. Ogni giorno, per tutti i giorni. Quanta fatica genera, un simile stillicidio? Quanta rabbia? Quanta frustrazione? Quanta paranoia? Quanta aggressività di rimando? Quanto si può resistere davanti a una simile persecuzione? Quanta amarezza e tristezza possono provocare, cattiveria e stupidità? Io non lo so, di preciso. Non l’ho mai sperimentato sulla mia pelle. Ma so quanto malessere mi ha generato il solo sentire quel tono e misurarmi con quel volto e quel corpo piegati dall’infelicità.

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