Se qualcuno avesse avuto dei dubbi oggi finalmente può toccarlo con mano. Tutto quello che abbiamo associato al giornalismo e all’informazione in Italia, realtà in crisi economica, esistenziale e di credibilità, sta per collassare o esplodere a seconda di come si scelga di interpretare i fatti. Per mediare le metafore della fisica è più corretto dire che sta per liquefarsi. I segnali oramai sono evidenti. La battaglia per assaltare lo status quo è appena iniziata. Andiamo con ordine: che cosa è successo? Di tutto di più e in pochi giorni.

In ordine non cronologico è stato siglato l’accordo sull’equo compenso per il lavoro giornalistico dopo lunga e stiracchiata trattativa con una sollevazione popolare e in rete dei freelance e delle persone di buon senso che armati di un pallottoliere hanno capito che i conti non tornano e si sono sentiti presi per i fondelli per delle tariffe da fame che di equo hanno poco o nulla: delle tariffe che vengono imputate ad un accordo da molti definito per lo meno vergognoso fra editori e sindacato. Poi ci sono state diverse prese di posizione contro una qualità contenutistica ed organizzativa dei corsi di formazione obbligatoria per i giornalisti, che spesso sono erogati in maniera dispendiosa per lavoratori tristemente  alla canna del gas. Ai tempi di internet la cosa più efficace e più utile per persone spesso impegnate quasi 24 ore al giorno sarebbe utilizzare massivamente la formazione a distanza che permetterebbe di fare formazione di qualità su larga scala con delle opportune economie. I maggiorenti dell’Ordine forse non sanno bene che cosa sia l’e-learning o il Mooc, meno male che dal basso una petizione sta cercando di smuovere le cose. La ribellione di una notevole porzione dei giornalisti italiani è poi esplosa quando in fretta e furia è stato firmato il nuovo contratto nazionale di categoria tra Fnsi e Fieg. Già la tempistiche dell’accordo non sono consuete: negli ultimi anni la firma del contratto era arrivata dopo lunghi bracci di ferro fra le parti con scioperi e levate di scudi assortite. Questa volta i tempi sono stati estremamente brevi, si è fatto tutto di corsa.

Non ci troviamo in un momento storico qualsiasi, ma in una fase di transizione enorme del mestiere di fare l’informazione e sarebbe stato auspicabile una seria, lunga e articolata riflessione, realizzata se possibile da persone competenti che stanno sul campo e non da teoreti sindacali, su modelli economici ed organizzativi, tipologie di professionalità, possibili evoluzioni del giornalismo attraverso l’autoimprenditorialità, definizione davvero chiara delle figure dei freelance guardando a un futuro possibile e non a un passato improbabile. E invece nulla di questo, piuttosto un contratto firmato al volo alla cui presentazione sono scoppiate scaramucce fra il segretario del sindacato Siddi e una porzione dei giornalisti presenti. Proprio mentre si presentava l’accordo è partita in Rete, organizzata in poco tempo, una tempesta su Twitter con l’hashtag #siddidimettiti che ha coinvolto centinaia di giornalisti e privati cittadini che hanno protestato dimostrando una non usuale vitalità e una ritrovata alleanza fra parte dei giornalisti e parte dei loro lettori.

Preoccupante è stato il fatto che quasi tutti i giornalisti ipertutelati, che tali restano con il nuovo contratto, quelli che normalmente raccontano ogni protesta lavorativa delle altre categorie si siano “dimenticati” di raccontare quanto è accaduto. E l’omissione ricorda tristemente quello che è già accaduto 4 anni fa  quando una giornalista iniziò uno sciopero della fame per salvare il suo lavoro, e i colleghi giornalisti non raccontarono se non parzialmente l’accaduto.

E non è finita qui perché il movimentismo dei giornalisti si sta allargando per organizzare diversi eventi compresa un’assemblea e una manifestazione nazionale.

La Repubblica tradita

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