Probabilmente c’aveva preso gusto a recitare in 5, film che ricostruisce la storia di una banda criminale della periferia romana. Ma adesso non potrà più frequentare Cinecittà per un lungo periodo. C’è anche l’attore romano Stefano Sammarco tra i 54 arrestati nell’operazione antimafia “Mediterraneo” scattata martedì mattina all’alba e che ha stroncato la cosca Molè di Gioia Tauro. L’accusa per lui è pesantissima: associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. “Sammarco Stefano – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – è altro soggetto che risulta partecipe, in maniera molto attiva, ai traffici di stupefacente intrattenuti su Roma dai Molé”. Si faceva chiamare lo “zio” in segno di rispetto e frequenti erano i suoi rapporti con “Molé Rocco”. In sostanza, secondo la ricostruzione del Ros e del pm Roberto Di Palma, Sammarco partecipava “alle operazioni contabili inerenti sia la gestione del narcotico sia quella degli introiti che dalla sua commercializzazione derivavano. Sammarco era un soggetto che si valeva della copertura della sua professione di attore per operare nel settore degli stupefacenti e che interagiva costantemente con i Molé”. Per la Procura, Sammarco “partecipava attivamente ai traffici. Gestiva personalmente […] le attività di spaccio di stupefacenti sul comprensorio di Civitavecchia e al contempo costituiva imprescindibile punto di contatto tra la ndrina Molè e la cordata capeggiata dal fratello Sammarco Manolo (anche lui arrestato, ndr), dotata di consistente filiera di spacciatori alle dipendenze, gestita da quest’ultimo unitamente ai più stretti familiari. Assolutamente consapevole dello spessore criminale degli interlocutori, non esitava a manifestare la piena disponibilità di armi, e a pianificare unitamente a Molé Rocco e Ritrovato Vincenzo una serie di rapine in danno di spacciatori finalizzato al recupero di liquidi che sarebbero stati passati a Molé Antonio, classe 1989, non appena scarcerato”. 

I carabinieri del Ros hanno messo le manette ai polsi dell’attore ricostruendo i suoi rapporti con gli uomini del clan di Gioia Tauro, indagati per associazione mafiosa, traffico di armi e di stupefacenti e intestazione fittizia di beni. L’inchiesta, coordinata dal procuratore capo Federico Cafiero De Raho e dal sostituto Roberto Di Palma, ha fatto luce anche su una serie di estorsioni. L’operazione, eseguita non solo in Calabria ma pure in Lazio e Umbria, ha portato al sequestro di beni e quote societarie per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro tra cui due cliniche private, una a Gioia Tauro, il centro tac “Imagine System”, e una a Terni, la “Vital Dent”. Formalmente intestate a prestanome, in realtà si tratterebbe di due società sostanzialmente gestite dalla cosca Molé. Il sodalizio aveva interessi in diverse iniziative imprenditoriali e commerciali: dalla sanità privata alla distribuzione delle slot machines. Accertati anche rilevanti traffici di armi dai paesi dell’est europeo e l’importazione di stupefacenti dal Nordafrica.

Era tutto in mano alla ‘ndrangheta, che controllava anche una serie di sale gioco colpite dal provvedimento del giudice per le indagini preliminari. Tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere c’è anche Marino Belfiore, l’armiere che nei mesi scorsi è stato arrestato dalla guardia di Finanza a un posto di blocco, nei pressi di Rizziconi, mentre nascondeva 14 kalashnikov nel cofano della sua autovettura. Già all’epoca, a marzo, sulla testa di Belfiore pendeva una richiesta di arresto firmata nei giorni scorsi dal gip di Reggio Calabria. Il sequestro dei mitragliatori Uzi aveva spinto il procuratore Cafiero De Raho a lanciare l’allarme “sull’escalation criminale” nella provincia reggina e sulla possibilità di un progetto di attentato ai danni dei magistrati. “Quelle armi – aveva affermato il procuratore – sono in grado di superare qualche barriera di protezione, un ostacolo. In altre parole i kalashnikov sarebbero serviti per un agguato anche a un’auto blindata”.

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