Sul percorso rovinoso di una “riforma del Senato” che lo trasforma in un patchwork di non eletti e nominati con funzioni eterogenee e disomogenee sotto lo slogan “abbattiamo i costi della politica” ha fatto irruzione la questione dell’immunità parlamentare, prevista dall’art. 68 della Costituzione.

A rimanere sotto le macerie delle contraddizioni, della faciloneria e dell’ipocrisia che dominano l’impianto della riforma a cui Renzi si è appeso è stata da ultima Anna Finocchiaro presidente della commissione Affari Costituzionali sulla quale ha finito per gravare la responsabilità di mantenere per i nuovi senatori non elettivi le prerogative previste dai padri costituenti, in tutt’altro contesto, per tutti i parlamentari in quanto rappresentanti del corpo elettorale

La Finocchiaro che dopo essere stata additata da Renzi come exemplum di brontosauro politico da rottamare, pur di rimanere in pista si è adattata prontamente facendo buon viso a cattiva sorte al nuovismo rampante, rimpalla ora tutte le responsabilità al presidente del consiglio e sconfessa con furore la Boschi sottolineando che l’emendamento sull’immunità per i nuovi senatori e cioè sindaci e consiglieri “era stato condiviso e vistato dal governo‘.  

Naturalmente, ex post,  l’introduzione dell’immunità per i membri di un Senato che non rappresentano i cittadini nessuno la rivendica, tutti si defilano anche se erano perfettamente d’accordo e si assiste ad una gara tra i partiti e all’interno del Pd a prendere le distanze a riprova, se ce n’era ancora bisogno, di come la continuità nell’ipocrisia e nell’arte del voltafaccia sia totale.

In FI di difesa dell’immunità non ne vogliono nemmeno sentire parlare, anzi Paolo Romani la definisce tout court “inessenziale” e si spinge ben oltre auspicando che il Senato “riformato” non abbia nemmeno la facoltà di eleggere il Capo dello Stato né i componenti laici del CSM; ineccepibile in  termini di rispetto formale e sostanziale del dettato costituzionale.

Peccato che, guarda caso, come osserva Massimo Mucchetti la trovata dell’emedamento-immunità, che la storia e la cronaca parlamentare confermano diventi semplicemente  impunità, sia avvenuta dopo un ennesimo illuminante incontro tra il ministro per le riforme Boschi e Denis Verdini.

Eppure per la Boschi, che l’ha derubricata a “questione  non centrale su cui il Governo aveva fatto una scelta opposta”,  come per Renzi si tratta di cosa di pochissimo conto e di “scarso rilievo” un granello di sabbia che non può certo inceppare il percorso della madre di tutte le riforme e sulla quale si può tranquillamente fare marcia indietro, Verdini &co permettendo.

Ma tra i renziani di ferro ci sono anche quelli che ancora non hanno una posizione netta come la Serracchiani e hanno bisogno di ponderare, e c’è pure un ministro della Giustizia come il candido Roberto Speranza che inconsapevolmente mette il dito nella piaga delle contraddizioni e del grande pasticcio del Senato che rimane in vita senza i senatori eletti dai cittadini. Infatti quando dice che la questione di fondo riguarda le funzioni di questa seconda Camera dice una parte di verità e ammette la nebulosità dell’impianto. Poi quando sottolinea la doppia contraddizione sia con l’immunità, perché sindaci e consiglieri avrebbero uno scudo di cui sono privi i loro colleghi, e sia senza immunità in quanto si avrebbe un regime differenziato tra deputati e senatori, la domanda sorge spontanea: ma non volete abolire il Senato come seconda Camera elettiva e il tanto vituperato bicameralismo perfetto? E allora perché i rappresentanti di due organi totalmente differenti per natura e funzioni dovrebbero avere uguali prerogative? 

Forse l’immunità oltre ad aver reso plateale la voglia viscerale di impunità e  la continuità dei rottamatari con i presunti rottamati ha anche scoperchiato il vaso di pandora del colossale pasticcio istituzionale dei “nuovi riformatori” che sono sempre gli stessi apprendisti stregoni, alcuni più giovani dei loro predecessori.

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