Sbloccare i fondi nazionali per rifinanziare la cassa integrazione in deroga. E salvare dal licenziamento 180 lavoratori. È questo l’appello che i sindacati confederali Cgil e Cisl hanno rivolto al governo guidato da Matteo Renzi, in seguito all’incontro che nei giorni scorsi si è svolto presso la prefettura di Reggio Emilia sulla vertenza Newlat. L’intesa siglata nel periodo natalizio al ministero dello Sviluppo economico tra la proprietà dell’azienda, ex Giglio, e i rappresentanti dei lavoratori, arrivata in extremis a scongiurare i 180 licenziamenti ‘per crisi’ prospettati dalla Newlat grazie proprio agli ammortizzatori sociali, è infatti a rischio a causa della mancata erogazione, e proroga, dei fondi nazionali per la cassa integrazione in deroga relativi al 2014. E se il problema non dovesse essere risolto al più presto da Roma, tutto il piano di gestione degli esuberi potrebbe saltare, con “ripercussioni drammatiche” sul futuro di 180 famiglie che oggi, sei mesi dopo quell’accordo, non hanno ancora visto un euro degli ammortizzatori sociali preannunciati.

“La situazione è molto preoccupante – spiega Mauro Nicolini, segretario della Flai Cgil di Reggio Emilia – non solo perché la mancanza di quei fondi rischia di mandare all’aria il piano di gestione degli esuberi a cui, assieme all’azienda, abbiamo lavorato mese dopo mese, ma anche perché ci sono famiglie, oggi, tra i dipendenti in cassa integrazione, al limite della fame. Da sei mesi a questa parte non si è ancora visto un euro degli ammortizzatori sociali concordati in seguito all’intesa siglata a gennaio al ministero, e c’è chi si è indebitato anche solo per pagare le bollette, chi non ha i soldi per fare la spesa, chi non sa più come pagare il mutuo o l’affitto e rischia la casa. Situazioni drammatiche, che oltretutto non riguardano nemmeno solo la Newlat, ma anche tante altre aziende in tutto il territorio italiano”.

Anni su anni di crisi dell’intero settore lattiero-caseario sono la ragione alla base dei guai finanziari della Newlat, ex Giglio, che nel 2013 ha infine annunciato la necessità di una ristrutturazione profonda dell’azienda, a partire proprio dal numero di operai impiegati nello stabilimento reggiano. Ai 180 licenziamenti prospettati, tuttavia, i sindacati hanno risposto con scioperi e manifestazioni, finché a Roma si è raggiunta un’intesa tra le parti: niente mobilità, ma un percorso di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, e di formazione. A soli 15 giorni dalla scadenza dei termini iscritti nell’accordo, il 30 giugno prossimo, però, non solo gli operai non hanno ancora ricevuto il sostegno pattuito, ma la cassa integrazione non è nemmeno più assicurata. I fondi per il primo semestre 2014 sono tuttora bloccati, e non è certo che si ottenga una proroga degli ammortizzatori sociali necessaria a evitare i licenziamenti.

“Per portare avanti il nostro piano di salvaguardia dell’occupazione – continua Nicolini – è fondamentale che venga approvato un ulteriore periodo di cassa in deroga dopo il 30 giugno. Dobbiamo poter continuare la gestione degli esuberi anche attraverso percorsi di formazione mirata e di riqualificazione, per una rioccupazione dei lavoratori”. Ma ci sarebbe anche bisogno, sempre da parte del governo, di rilanciare l’attività industriale, “condizione – sottolineano i sindacati – indispensabile alla sopravvivenza della divisione lattiero – casearia”.

“Fino ad oggi – racconta Nicolini – abbiamo gestito l’emergenza Newlat con gli ammortizzatori sociali, il che ci ha permesso di ridurre il numero di esuberi da gestire, perché diversi lavoratori sono usciti su base volontaria, e se si dovesse procedere seguendo il percorso avviato altri potrebbero agganciare la mobilità alla pensione. Tuttavia, il numero dei licenziamenti da scongiurare rimane elevato. Senza la proroga che chiediamo, di altri sei mesi, rischiamo che le uscite non siano più su base volontaria”.

Anche perché, proprio per la crisi che avvince il comparto, ricollocare chi rimane senza lavoro non è facile, richiede tempo. “In questi ultimi anni tutte le imprese del settore, chi più, chi meno, hanno dovuto affrontare procedure di ristrutturazione. La lattiero–casearia, del resto, è una divisione che ha un basso valore aggiunto poiché la competitività si basa sui bassi costi di produzione, dato che il prezzo del prodotto al cliente è più o meno lo stesso: è facile, quindi, intuire quanto il mercato del lavoro sia fermo”. Se i colossi del latte, come Granarolo, hanno la possibilità di produrre grandi volumi di prodotto ricavando qualche margine dall’abbassamento dei prezzi al cliente, infatti Newlat non ha il peso specifico per concorrere. Da qui la scelta di tagliare il personale.

“Per questo, come per le migliaia di altri casi aperti nel nostro Paese – concludono Cgil e Cisl – a soli quindici giorni dalla scadenza degli attuali ammortizzatori, il destino di migliaia e migliaia di lavoratori e famiglie dipende dalle decisioni della politica e del governo. E lo Stato non può far mancare un sostegno fondamentale nel momento più duro che questa quinquennale crisi ha creato”.

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