Il ministro dell’Istruzione propone di anticipare a cinque anni la prima elementare. Ma chi comincia la scuola troppo presto ottiene risultati peggiori. La conferma da uno studio che confronta il rendimento scolastico con il mese di nascita dei bambini italiani. Un ritardo che non si recupera.
di  e  (Fonte: lavoce.info) 

L’età del primo giorno di scuola

Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, ha recentemente proposto di anticipare a cinque anni l’età a cui i bambini entrano a scuola
Come spesso succede in Italia, la proposta non tiene in considerazione i risultati di una serie di studi empirici nel campo dell’economia dell’istruzione su come l’età di ingresso a scuola influenzi il rendimento scolastico dei bambini. A livello internazionale esiste ormai un’ampia e robusta evidenza che mostra come i bambini che cominciano la scuola a un’età più bassa ottengono risultati scolastici significativamente peggiori. 

In Italia, attualmente i bambini possono iscriversi alla scuola primaria (le scuole elementari nella vecchia definizione) a settembre di un certo anno se hanno compiuto i sei anni nello stesso anno solare (dal 1 gennaio al 31 dicembre). (1) I bambini nati negli ultimi mesi dell’anno sono perciò molto più piccoli (e forse meno maturi per l’apprendimento scolastico e la necessaria concentrazione) di quelli nati nei primi mesi. Per esempio, i nati a gennaio cominciano la scuola a 6 anni e 8 mesi, mentre i nati a dicembre entrano a 5 anni e 9 mesi. A quell’età, le differenze possono essere piuttosto rilevanti.

Uno studio sugli alunni italiani

Per valutare in che misura l’età d’ingresso a scuola (misurata dal mese di nascita) incida sul rendimento scolastico dei ragazzi nel nostro paese, in un recente studio empirico abbiamo usato varie banche dati (costruite sulla base delle indagini condotte a livello internazionale Pirls; Timss; Pisa) che rilevano le performance scolastiche degli studenti (in IV elementare; III media; II anno delle scuole superiori) e riportano informazioni su caratteristiche individuali (tra cui il mese e l’anno di nascita), su background socio-economico della famiglia di provenienza e su caratteristiche della scuola. (4)
Tenendo conto di molti fattori che influenzano il rendimento scolastico – come caratteristiche individuali, background familiare, alcune caratteristiche della scuola di appartenenza –, il nostro lavoro mostra che gli studenti più “giovani” ottengono mediamente risultati scolastici peggiori rispetto ai loro compagni di classe più grandi, sia in quarta elementare, che in terza media che alle scuole superiori. In altre parole, lo svantaggio dei bambini più piccoli è rilevante e non si riduce con il passare degli anni di scolarizzazione.

Per la stima abbiamo usato una strategia econometrica (“variabili strumentali”) che consente di tener conto del problema derivante dal fatto che l’età di ingresso a scuola per gli studenti non è semplicemente determinata dal mese di nascita (per coloro che non seguono la prassi), ma è correlata ad altri fattori come le abilità innate, l’ambiente di provenienza, eccetera.
I peggiori risultati registrati dai bambini più piccoli riguardano sia la matematica che lescienze e la comprensione linguistica e sono dell’ordine di 0.2 deviazioni standard della variabile dipendente. Per fare un esempio, i nati a dicembre mostrano un peggiore rendimento in matematica di 15-20 punti in meno rispetto ai nati a gennaio, corrispondente a quasi due terzi del divario di rendimento esistente tra italiani e immigrati.
Inoltre, per i ragazzi delle scuole superiori le stime mostrano che coloro che sono entrati a scuola più giovani hanno una maggiore probabilità di proseguire gli studi in istituti professionali piuttosto che iscriversi al liceo.

La causa dei peggiori risultati dei bambini più piccoli potrebbe essere dovuta o all’età assoluta (il bambino è troppo piccolo per un efficace apprendimento) o all’età relativa (per il fatto di essere inserito in una classe con altri bambini più grandi). I nostri risultati mostrano che l’età relativa ha scarso effetto, ma questa ultima evidenza va considerata con una certa cautela poiché è difficile stimare l’importanza dell’età relativa dato che non esiste molta variabilità nell’età media delle classi.
Sicuramente l’analisi sui dati italiani e l’ampia evidenza internazionale suggeriscono che anticipare l’età di ingresso a scuola (come regola generale o lasciando discrezionalità ai genitori) è una scelta che va nella direzione sbagliata se l’obiettivo è migliorare il rendimento scolastico dei ragazzi.

(1) Questa regola è seguita in Italia da un’alta percentuale (dall’85 al 90 per cento), sebbene i genitori abbiano la possibilità di anticipare il periodo di ingresso (per i bambini nati entro il 30 aprile dell’anno successivo).

Bio degli autori

Michela Ponzo – E’ ricercatore di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università Federico II di Napoli. Ha conseguito il Master allo University College di Dublino e il Dottorato presso l’Università della Calabria. È stata Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza, Roma. Si occupa di economia dell’istruzione, economia della felicità, economia sanitaria.

Vincenzo Scoppa – Professore Associato presso il Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università della Calabria. Si occupa prevalentemente di Economia del lavoro, Economia dell’istruzione e valutazioni econometriche di politiche. Dal 1999 al 2000 è stato Dirigente Esperto di Analisi Economica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha conseguito un Master in Economics (Università di Torino) e un Dottorato di Ricerca (Università di Siena). Ha insegnato Econometria, Macroeconomia, Economia dei contratti e Microeconomia.

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