Il governo rimette in forze la Consob e mette un argine allo strapotere del suo presidente Giuseppe Vegas. Nel decreto legge per la competitività presentato mercoledì dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dalla titolare dello Sviluppo economico, Federica Guidi, spunta infatti una norma che riesuma il vecchio assetto a cinque commissari. Archiviato nel 2012 dal governo Monti “per risparmiare sui costi”. La decisione riportata dal Sole 24 Ore arriva nemmeno una settimana dopo la nomina di Anna Genovese a terzo commissario dell’authority che ha il compito di vigilare sulla tutela del risparmio e il buon funzionamento del mercato. La posizione era vacante dalla fine del 2013, quando era scaduto il mandato di Michele Pezzinga. Da allora l’organismo direttivo risultava composto solo dal presidente e dal commissario superstite Paolo Troiano. Una situazione che ha fatto di Vegas una sorta di monarca indiscusso, visto che il voto del presidente, in caso di parità, vale doppio. E Vegas, ex viceministro di Giulio Tremonti nonché ex deputato di Forza Italia e Pdl, non ha mancato di fare uso del suo “privilegio”. Anche in occasione di decisioni delicate e controverse su vicende ora sotto la lente della magistratura come la fusione Unipol-Fonsai. E proprio per le deliberazioni assunte in occasione del via libera a quell’operazione il nome di Vegas compare più volte nelle carte dell’inchiesta per aggiotaggio a carico di Carlo Cimbri e di altri manager del gruppo assicurativo bolognese. Ora la Consob, che per altro ha dato un “contributo tecnico” ai ministeri competenti nella stesura del decreto, torna al passato. Bisognerà vedere quanto tempo ci metterà, visto che per la sostituzione di Pezzinga ci sono voluti ben sei mesi.

E se l’empasse Consob viaggia verso lo scongelamento, altrettanto non si può dire per le società quotate. Per le quali si prefigura un ritorno all’ingessamento proprio delle liturgie dei salotti italiani pre crisi, che fino a pochi mesi fa avevano mantenuto pressoché intatto l’assetto di comando delle imprese amato dal fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia. Quello per cui le azioni non si contano, ma si pesano. Ed ecco che ai “salotti buoni” sul viale del tramonto insieme agli annessi patti di sindacato per blindare il controllo di grandi gruppi senza spender troppo, è arrivato l’aiuto governativo per decreto. Si tratta di una norma che introduce la possibilità per le aziende quotate e quotande di emettere azioni con voto multiplo in favore dei soci che ne restino titolari per più di 24 mesi. E così nell’Italia di Matteo Renziun titolo potrà, tout court, valere il doppio di un altro in assemblea. Sarà la Consob, con un proprio regolamento, a fissare nel dettaglio la disciplina attuativa. L’obiettivo dichiarato nella relazione illustrativa della bozza del Dl è premiare la “fedeltà” dei soci di lungo periodo. Ma l’altra faccia della medaglia è che i fondi esteri come BlackRock, che stanno entrando in forze nel capitale dei grandi gruppi bancari e industriali italiani, per la natura stessa delle proprie strategie di investimento difficilmente ne beneficeranno e saranno così arginati. Lo strumento del doppio voto esiste già in Francia, Olanda e Usa. Fiat Chrysler Automobiles, che come è noto ha sede ad Amsterdam, ha già deliberato di emettere azioni con due voti in favore dei nuovi soci che terranno in portafoglio i titoli per almeno tre anni e di quelli attuali che parteciperanno alla fusione: come dire che la Exor della famiglia Agnelli, che oggi ha circa il 30% di Fiat, anche in caso di diluizione del capitale continuerà a esercitare il controllo sulla casa automobilistica. 

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