È possibile arrivare a una Costituzione di Internet? Quale che sia la risposta sulla fattibilità, il punto di partenza è che una carta che regoli i diritti e i doveri legati alla sfera digitale è indispensabile. È questo, in sintesi, ciò che emerge dalla conferenza-fiume tenuta nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, a cui hanno partecipato esperti di diritto internazionale e di nuove tecnologie. La giornata di confronto, moderata dalla responsabile della comunicazione della Camera Anna Masera e aperta con una relazione introduttiva di Stefano Rodotà, ha toccato tutti i temi caldi del momento: dalla protezione dei dati personali alla libertà di espressione, per finire con la più generale (e generica) governance della Rete.

Che i tempi per un intervento legislativo siano maturi, secondo Rodotà, emerge dal “generoso aprile”, segnato da due sentenze della Corte di Giustizia Europea, che hanno segnato progressi significativi nel settore. La prima, pubblicata l’8 aprile, ha ridimensionato notevolmente la possibilità di conservare i dati di traffico telefonico e telematico allo scopo di accertare e reprimere i resti. La seconda, intervenuta nel mese di maggio, ha invece sancito l’esistenza del cosiddetto “diritto all’oblio”. In entrambi i casi, come ha rilevato anche il Garante per la Privacy Antonello Soro, si è ribaltato quel “primato della tecnologia sui diritti” che ha ormai trovato posto anche nella percezione degli utenti. A livello di opinione pubblica, però, il problema di una maggiore consapevolezza nella difesa dei propri diritti rimane. Una constatazione condivisa anche dal giornalista Luca De Biase secondo cui “Scoprire di essere sorvegliati (dai servizi segreti USA ndr) non ha suscitato l’indignazione sufficiente”.

L’Europa non basta, ma è un inizio Se il percorso di una legislazione a livello continentale è vista con favore, il vero fulcro della questione rimane la dimensione globale della Rete. I più recenti e aggiornati regolamenti nazionali o “di area”, come quelli dell’Unione Europea, si scontrano quindi con le difficoltà legate alla determinazione certa di una giurisdizione applicabile, che rende troppo spesso impossibile definire quali leggi applicare. Un aspetto che, secondo l’ex garante per la privacy spagnolo José Luis Piňar, ridimensiona anche il valore della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul diritto all’oblio, per la quale la violazione della direttiva Ue in tema di trattamento dei dati personali era motivata esclusivamente dalla presenza di una filiale Google sul territorio spagnolo, ovvero il paese in cui era residente il cittadino europeo che ha fatto ricorso per ottenere la cancellazione dal motore di ricerca di informazioni che lo riguardavano. Un tema, questo, anticipato dallo stesso Rodotà nel suo intervento introduttivo, in cui ha sottolineato come esista il rischio che una normativa regionale sia aggirata attraverso una forma di “ottimizzazione” simile a quella usata dalle grandi aziende per eludere le tasse in Europa. Vista in questi termini, l’idea di una iniziativa legislativa che interessi i paesi dell’Unione viene vista, quindi, come un (buon) inizio di un percorso ben più lungo e impegnativo.

Si riparte dal Brasile L’esigenza di una “Costituzione di Internet” a livello globale è sentita da tutti ma, a oggi, l’unico esempio che vi si avvicini arriva dal Brasile. Qui il governo di Dilma Rousseff ha varato il Marco Civil da Internet, una legge estremamente ambiziosa e radicale che norma in maniera puntuale anche le questioni spinose legate all’uso della Rete. L’esposizione di Alessandro Molon, relatore brasiliano della legge che ha portato il suo contributo alla conferenza tenutasi alla Camera, ne tratteggia le caratteristiche fondamentali: tutela della natura libera e decentrata della Rete, difesa della privacy e della libertà di espressione. Sull’applicabilità di una legge “copia-incolla” nel nostro continente (e soprattutto nel nostro paese) qualche dubbio rimane. Basti pensare che, nel Marco Civil è previsto che i casi di diffamazione o calunnia sul Web siano affidati a tribunali speciali già esistenti che adottano procedure semplificate e garantiscono la soluzione delle controversie in 24 ore.

Ciò che di certo dovrà essere considerato il tema della Net Neutrality, ovvero la regola per cui i fornitori di accesso a Internet devono garantire lo stesso trattamento a qualsiasi tipo di dato indipendentemente dalla sua provenienza. Un tema, questo, che è attualmente in discussione negli Stati Uniti, dove i provider Internet stanno cercando di superare il concetto di neutralità della Rete e poter stringere così accordi commerciali con i colossi del Web (da YouTube a Netflix) allo scopo di garantirgli una “corsia preferenziale” a scapito degli altri. L’argomento, come hanno ricordato Emilio De Capitani dell’Università l’Orientale di Napoli e Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino, sarà sul tavolo del Consiglio Europeo proprio nel corso del semestre di presidenza italiano. Inutile dire che l’auspicio è quello che le scelte dell’Unione Europea si orientino verso una soluzione “alla brasiliana”, garantendo un rigoroso rispetto della Net Neutrality che eviterebbe il rischio sia della creazione di barriere per l’ingresso a nuove aziende e servizi, sia quello di un sistema in grado di riconoscere, tracciare e filtrare i dati sulla base della loro provenienza o tipologia.

Un processo dal basso Se l’adozione di contenuti “netti” come quelli brasiliani nella futuribile Costituzione di Internet è tutt’altro che scontata, ciò che viene considerato indispensabile è ricalcare il tipo di processo che ha portato alla sua scrittura. Il Marco Civil da Internet, infatti, è il frutto di un percorso partecipativo che ha impegnato i parlamentari di Brasilia per ben 3 anni. In questo periodo la commissione responsabile del disegno di legge ha chiesto (e ottenuto) la collaborazione dei cittadini in tutte le sue fasi: sia attraverso una serie di incontri tenutisi in tutto il paese, sia attraverso uno spazio virtuale (battezzato LegisWiki) che ha permesso di raccogliere spunti, suggerimenti e commenti provenienti da chiunque volesse parteciparvi. Qualcosa di simile alle procedure condivise tra “tutti i soggetti interessati” che sono state spesso evocate a livello internazionale, ma con qualche differenza. Se nei summit internazionali a cui abbiamo assistito fino a oggi il ruolo degli operatori privati rimane sempre centrale, la creazione di una normativa per la gestione della Rete richiede un approccio diverso. A metterlo a fuoco è sempre Stefano Rodotà, secondo il quale ci si trova di fronte a “un problema di democrazia” per risolvere il quale “servono processi di inclusione e partecipazione” in cui “la subordinazione dei diritti fondamentali alle logiche di mercato e del profitto non può essere accettata”.

Un primo passo in questo senso arriva dalla richiesta della Presidente della Camera Laura Boldrini (comunicata in chiusura della conferenza) di una commissione parlamentare che tracci il percorso per un “Bill of Rights” di Internet e dall’istituzione di uno spazio dedicato alla raccolta dei contributi di tutti i cittadini che vogliono collaborare con proposte, commenti e documentazione. È un inizio.

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