Venerdì 13 giugno l’appello in aula del capo dei Casalesi, Antonio Iovine: boss, fate come me, pentitevi. Il lunedì successivo l’annuncio che un altro boss di peso ha scelto di collaborare con la giustizia. Si chiama Rosario Pariante ed è un nome di spicco della camorra napoletana: vanta 30 anni di militanza nel clan del padrino Paolo Di Lauro come collettore delle tangenti di imprenditori e commercianti dell’area flegrea e come finanziatore del traffico di stupefacenti importati dalla Spagna, dalla Turchia e dall’Olanda. E’ stato uno dei protagonisti della faida di Scampia.

Tra l’appello di Iovine e la decisione di Pariante non c’è alcun nesso. Il boss napoletano, in carcere dal 2007 e con tre anni di carcere duro alle spalle, collabora già da un paio di settimane. La notizia del deposito dei primi tre verbali riassuntivi è stata rivelata dal pm Stefania Castaldi Dda partenopea nel corso dell’udienza preliminare del processo per il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno, nel quale Pariante è imputato. Montanino e Salierno erano considerati appartenenti al gruppo militare di Cosimo Di Lauro, il figlio del boss, contro il quale si scatenarono gli anziani della cosca. Fu la faida, 70 cadaveri sul campo di battaglia di Scampia nell’anno del terrore, il 2004.

Di quell’incredibile stagione di proiettili e sangue Pariante può dire molto. Prima di diventare il capo di un clan omonimo, attivo nell’area flegrea della provincia di Napoli, Pariante è stato infatti tra i fondatori del clan Di Lauro di Secondigliano e Scampia. Si è poi schierato con gli ‘Scissionisti’, circostanza determinante per la debacle di ‘Ciruzzo ‘o milionario’. Insomma, Pariante è un nome che conta sullo scacchiere del potere camorristico. E può rivelare numerose informazioni. A cominciare dai segreti di cui è depositario: quelli tra i Di Lauro e gli apparati investigativi, e i rapporti con la politica.

Pariante è stato l’ufficiale di collegamento con i manager della cosca, l’addetto al riciclaggio del denaro sporco. Negli anni, gli sono stati sequestrati beni (una Ferrari gialla, uno yacht di oltre 18 metri, ristoranti, quote societarie, appartamenti, aziende) per una decina di milioni di euro. Per dimostrare il suo potere criminale, acquistò la Virtus Baia, una squadra di calcio del suo paese, Bacoli dove, secondo il pubblico ministero Raffaele Marino, era diventato il terminale di un’organizzazione che taglieggiava i commercianti. E la domenica se ne andava a vedere le partite allo stadio con i poliziotti in assetto antisommossa a pochi metri da lui. Aveva anche allestito un proprio ricco e fiorente banco di scommesse che ogni mese fruttava centinaia di milioni di lire. Ora la decisione di passare con lo Stato.

Articolo Precedente

Yara Gambirasio, scontro Procura-Alfano: “Più riserbo”, “La gente doveva sapere”

next
Articolo Successivo

Yara Gambirasio, Giardina: “Operazione avveniristica. Dna? Errore impensabile”

next