Se c’è chi – come gli emiri qatarioti o i mormoni di Salt Lake City 2002 – è disposto a distribuire regalie pur di ottenere l’assegnazione di un grande evento, è perché le potenzialità di un’olimpiade, un’esposizione universale o di un mondiale di calcio sono enormi. Inimmaginabili. In alcuni casi una città ne esce trasformata anche e soprattutto dal punto di vista architettonico, rilanciando o inventando la vocazione turistica; altre volte può essere il biglietto da visita per l’ingresso tra i grandi del mondo. In qualche (rara) occasione può perfino trasformarsi nell’additivo che aggiunge tanti cavalli al motore della crescita. Di esempi ce ne sono moltissimi. Questi che andiamo a elencare sono i casi virtuosi, dove il grande evento si è fatto motore per una città o un intero Paese.

Tokyo rilancia il Giappone – Dal Dream team Usa all’emozionante inno firmato da Montserrat Caballé e Freddie Mercury (morto pochi mesi prima), sono tante le cose da ricordare le cose da ricordare di Barcellona ’92. L’assegnazione, si scoprirà poi, è macchiata da generose elargizioni in prostitute e diamanti. A tentare la via della corruzione è però una delle rivali, Amsterdam. Tentativo inutile: il presidente del Cio, Juan Antonio Samaranch, porta i giochi nella sua Barcellona. Così, ironia della storia, i catalani devono a un franchista il momento più luminoso della loro storia recente. Per gli standard dell’epoca sono olimpiadi costosissime: quasi 12 miliardi di euro. I soldi però vengono investiti bene e interi quartieri come il porto e Poblenou vengono riqualificati. Il sistema di trasporti – metro, tangenziale e aeroporto – viene ammodernato di trent’anni. La città, anche dopo la cerimonia di chiusura, unisce spirito mediterraneo e organizzazione tedesca. I turisti apprezzano e accorrono in massa, portando il capoluogo catalano a scalare la classifica delle città più visitate d’Europa fino al quarto posto e, soprattutto, davanti agli arci-rivali di Madrid. Nella storia delle olimpiadi estive, Barcellona ’92 è uno spartiacque: tutti quelli che verranno dopo tenteranno di imitarle. Gli unici che ci riusciranno davvero sono gli australiani. Otto anni dopo a Sydney 2000 tutto funziona perfettamente. Il saldo tra entrate e uscite è positivo (nei 104 precedenti era accaduto solo a Los Angeles ’84 e Seul ’88) e la città si trova in eredità un sistema di viabilità efficiente e funzionale. Diverso il caso di Tokyo ’64. Sono gli anni il combinato di teorie keynesiane e modello di produzione toyotista lanciano il Giappone tra le potenze mondiali. Quelle del ’64 verrano definite le olimpiadi del futuro: le prime in mondovisione e con città collegate da treni che sfrecciano a 256 chilometri orari. Gli investimenti sono enormi, il bilancio iniziale in perdita ma, anche grazie all’Olympic effect, la tigre gialla comincia a correre alla velocità dei nuovi treni. La crescita economica passa dal 10,1 a oltre il 26%. Cinquantaquattro anni più tardi i cinesi proveranno a emulare quest’esperienza a Pechino 2008.

Stadi perfetti e vince l’Italia – Mezzo milione di nuovi posti di lavoro, dodici stadi uno più bello dell’altro, un bilancio quasi in pareggio (quattro miliardi di euro di uscite, 3,7 di entrate) e, non da ultimo, il rilancio della Bundesliga dopo un decennio di vacche magre. Benvenuti a Germania 2006. Quando si tratta di grandi eventi i tedeschi sanno il fatto loro: come modelli vengono presi l’europeo inglese del ’96 e il mondiale Usa ’94. Il combinato di sponsor, marketing e merchandising frutta quasi tre miliardi di euro. Gli stadi, tutti senza pista di atletica e con design futuristici, permetteranno alla Bundesliga di tornare un campionato appetibile, sia per i campioni che per i diritti tv.

Shangai, Expo da record – Un’esposizione universale può servire a molte cose: presentare nuove invenzioni (telefono, touch screen, ascensore e il cellulare, solo per citarne alcune); donare a una città nuovi simboli (la Torre Eiffel e il Museo d’Orsay a Parigi, l’Euratom di Bruxelles, lo Space Needle di Seattle); o ad arricchire le solite cricche, come nel caso di Expo 2015 a Milano. Nel caso di Shangai 2010 l’obiettivo era ancora più ambizioso: battere tutti i record delle esposizioni precedenti. Siccome sono cinesi, ci riusciranno. Basta prendere il numero di visitatori: il precedente limite era stato raggiunto da Montreal ’67 (50 milioni), un’Expo organizzata per caso e riuscita benissimo. All’appuntamento cinese i biglietti staccati saranno più di 70 milioni. Non solo: crescita del turismo del 13%, costruzione di sei nuove modernissime linee della metropolitana in appena due anni e un’indotto generato da 11 miliardi di euro. È davvero un’esposizione universale: partecipa tutto il mondo. Gli Stati che rinunciano sono solo tre: Burkina-Faso, Bhutan e Kuwait. Certo, per fare una frittata bisogna rompere qualche uova. Nel caso dell’Expo cinese si parla di 18 mila case espropriate e centinaia di morti sul lavoro (dati attendibili non ce ne sono). Per Shangai l’esposizione universale è più di una semplice vetrina, è l’occasione per rivaleggiare con Pechino e la sua olimpiade del 2008. Il derby tra le due megalopoli finirà in un pareggio, ma al termine dei due eventi il mondo ha una certezza in più: quello che verrà, sarà il secolo cinese. Olimpiadi, esposizioni universali e coppe del mondo servono anche, o forse soprattutto, a questo.

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