Buffon non ha recuperato dall’infortunio alla caviglia. Inizia nel peggior modo possibile l’avventura brasiliana per l’Italia di Prandelli, impegnata nella gara di esordio contro l’Inghilterra. Agli azzurri il successo in Coppa del Mondo manca da due edizioni. A far fede alle statistiche, dalla semifinale contro la Germania perché contro la Francia, a Berlino, fu tecnicamente un pareggio pur se emotivamente si trattò di un trionfo. In Sudafrica, il Lippi-bis andò come spesso succede ai grandi di ritorno: cadono perché ascoltano il cuore, anche se la testa suggerirebbe che il momento di cambiare è già arrivato.

La nazionale di Prandelli inizia il 24 giugno 2010, Slovacchia-Italia 3-2 e azzurri sulla scaletta dell’aereo. Dei protagonisti di quel giorno tra campo e panchina, oggi, vedremo all’opera Chiellini, De Rossi, Marchisio e Pirlo. Ci sarebbe dovuto essere anche Buffon, ma la caviglia l’ha tradito. Il Sirigu visto in amichevole contro l’Eire dà comunque sufficienti garanzie sotto il profilo tecnico. A conti fatti la costante tra Johannesburg e Manaus è il centrocampo, snodo di tutto l’impianto del tecnico di Orzinuovi.

In difesa è emergenza, tanto da spingere il ct a dire: “Dovremo farci benedire”. L’assenza di De Sciglio costringe Chiellini a slittare in fascia, nonostante la gamba dello juventino non sia la migliore per interpretare il 4-1-4-1 costruito negli ultimi tempi. Prandelli vuole spinta dai terzini e la troverà sulla destra con Darmian, alla seconda presenza in azzurro, circostanza che garantisce la giusta incoscienza per non temere nessuno. Anche la coppia di centrali Barzagli-Paletta è quasi inedita e non al cento per cento. In fase di preparazione, l’oriundo sembrava quasi sul punto d’essere tagliato. Si ritrova titolare contro l’Inghilterra, che lì davanti ha muscoli, velocità e qualità grazie a Sturridge e Rooney ad agire nella zona centrale e Welbeck e Lallana a sfondare sulle fasce.

Ed ecco che ritorna l’importanza del centrocampo. De Rossi, più di tutti, per leadership e posizione. L’azzurro con il miglior rendimento nell’ultima Serie A è chiamato a correre e arginare prima d’affidare il pallone ai piedi educati di Pirlo e Verratti. Sembravano incompatibili, oggi diventano indispensabili. Qualità di tocco e cervello al quadrato costringono Roy Hodgson a scegliere un trattamento particolare per una fonte di gioco, nel tentativo di limitarla. Sarà Pirlo – che massacrò gli inglesi agli Europei – l’uomo preso in consegna da Henderson. Aumentano quindi le responsabilità del “parigino” che dovrà scardinare a colpi di genio l’ultima protezione a guardia della difesa (Gerrard, non uno qualunque). Il carattere non gli manca, figuriamoci i tocchi. Marchisio e Candreva, gli incursori tanto cari a Prandelli, dovranno essere efficaci a catapultarsi nei varchi aperti da Mario Balotelli.

E arriviamo al dunque: Balotelli, appunto. Last but not least, per iniziare a entrare in clima partita. Jagielka e Chaill lo conoscono bene, come tutta l’Inghilterra. È il più atteso, forse proveranno anche a innervosirlo. Neymar e van Persie sono stati i due osservati speciali nelle prime 48 ore del Mondiale e hanno risposto con due doppiette. Il palcoscenico dell’Arena Amazzonia è suo. Prandelli lo disse subito dopo la sciagurata estate sudafricana: “Riparto da Mario”. A 23 anni è arrivato il momento di spaccare il mondo, anche perché alle sue spalle la concorrenza è agguerrita. Ciro Immobile scalpita e per le difese straniere è quasi un perfetto sconosciuto non avendo mai assaggiato l’aria internazionale. Anche l’altro scugnizzo, Lorenzo Insigne, ronza nella testa di Prandelli e ci sarebbe pure Antonio Cassano, destinato a interpretare il ruolo di scompaginatore dell’ultima mezz’ora ma con una voglia matta di prendersi la chance Mondiale mai avuta. L’Italia deve ri-tornare subito a vincere, come non riesce a fare da sette gare ufficiali e in un Mondiale da otto anni. Il momento è ora. C’è da spianare la strada che porta agli ottavi. Tocca a tutti ma un po’ di più a Balotelli, il manifesto di Prandelli. Stanotte è la notte. Parafrasando Mancini: “Why always you, Mario?”.

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