L’unica speranza per uscire dalla crisi? “Una trasformazione dell’educazione” che permetta di “formare una generazione più saggia, solidale e sana di quella a cui apparteniamo, e che tanto arrogantemente pretendiamo di riprodurre per mezzo delle istituzioni educative“. E’ la ricetta prescritta da Claudio Naranjo, psichiatra a psicoterapeuta cileno, tra i padri della terapia della Gestalt, in La rivoluzione che stavamo aspettando (Terra nuova edizioni), presentato a Milano il 13 giugno. Naranjo, pensatore originale le cui riflessioni intrecciano antropologia, spiritualità, pedagogia ed economia, è convinto che un processo formativo diverso da quello patriarcale tradizionale possa aumentare nelle nuove generazioni “la libertà di essere se stesse e di amare sé, gli altri e l’ambiente che ci circonda”. Con il risultato, in ultima analisi, di innescare anche un cambiamento radicale del modello economico in cui persone e aziende oggi si muovono. Rendendolo più umano, liberandolo dalla subordinazione al profitto e magari riuscendo addirittura a renderlo socialmente responsabile e metterlo a servizio della comunità. 

“Ma è concepibile un progetto di umanizzazione dell’azienda controcorrente rispetto al carattere per nulla benevolo del macrosistema in cui si inserisce?”, si chiede Naranjo nel capitolo dedicato al cambiamento dell’economia. La strada è impervia, perché oggi la politica – in cui l’autore fa rientrare la cura dei beni comuni, la giustizia e l’etica – “è arrivata a servire l’economia nella stessa maniera in cui i grandi paesi, gli industriali e le istituzioni commerciali o finanziarie si sono infiltrate o hanno subornato i parlamenti e i governi“. Non solo: “Le regole del gioco della nostra economia politica” implicano ormai “una subordinazione di ogni cosa a considerazioni meramente economiche”, subordinazione che disumanizza e, scrive lo psichiatra, “finisce con il causarci innumerevoli sofferenze”. Il potere economico, infine, attraverso le imprese a cui appartengono la maggioranza delle emittenti, “ha reclutato i mezzi di comunicazione al servizio di una politica che serve all’economia e ai politici della nazione commerciale”. Eppure, è la conclusione di Naranjo, c’è uno spiraglio di luce: la speranza di un’iniziativa che parta dalle imprese – affiancate poi dai governi – e punti a sovvenzionare una “riforma educativa di massa che potrebbe rispondere alla crisi dai molti aspetti del mondo occidentale”.

Una “riforma dell’educazione” i cui punti cardine devono essere il superamento dell’impronta patriarcale, delle “azioni repressive volte a indurre l’essere umano a temprarsi per diventare una “macchina da guerra” in difesa o in offesa” e dell’indottrinamento al conformismo nei confronti dell’ordine stabilito. Perché, “se aspiriamo ad umanizzare le nostre attuali imprese, nulla sarà più rilevante del progresso personale di coloro che le formano”. 

Articolo Precedente

Expo 2015, ecco “l’economia della condivisione”. Ma c’è il nodo delle regole

next
Articolo Successivo

India, stretta di Modi su ong internazionali “Sono un ostacolo allo sviluppo del Paese”

next