I pm di Bologna hanno voluto sentire anche il successore di Claudio Scajola al Viminale, per capire qualcosa in più, a 12 anni di distanza, sulle omissioni nella mancata assegnazione della scorta a Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Br il 19 marzo 2002. Dopo l’arrivo in procura negli ultimi giorni di altri ex ministri dell’allora governo Berlusconi, venerdì mattina è stata infatti la volta di Beppe Pisanu, ministro dell’Interno a partire dal luglio 2002. Il politico sassarese avrebbe fornito ai magistrati una valutazione sulle informazioni di cui era in possesso il ministero dell’Interno, e che lui poté visionare quando subentrò a Scajola, dimessosi per avere dato del “rompicoglioni” al giuslavorista ucciso. In particolare, Pisanu avrebbe fatto riferimento alle informative arrivate dai servizi segreti prima dell’omicidio e dall’analisi di questa documentazione – è stata la ricostruzione davanti ai magistrati – sarebbe stato facilmente intuibile il pericolo per Marco Biagi. Nelle carte degli 007 italiani si parlava infatti dei rischi per i cosiddetti “uomini cerniera”, persone come Marco D’Antona (ucciso nel 2009 dalle Nuove Br) o Gino Giugni (gambizzato nel 1983 dalle Br). Un profilo che in quel momento corrispondeva anche a quello del docente bolognese: in quelle relazioni, avrebbe in sostanza riferito Pisanu al pm Antonello Gustapane, era come se di Marco Biagi mancasse soltanto il nome.

Dall’inchiesta di Gustapane e del procuratore capo Roberto Alfonso, che indagano contro ignoti per omicidio per omissione, continua a emergere quella che recentemente l’allora sottosegretario e amico di Biagi, Maurizio Sacconi, ha definito una “tragica sottovalutazione”. L’11 giugno scorso Roberto Maroni, allora ministro del lavoro, in procura aveva spiegato che lui prima dell’omicidio parlò espressamente dei pericoli che correva Biagi a Scajola. “Sì, certo. E non solo io, ma tanti altri”. Poi il governatore della Lombardia era stato netto, riferendosi alle informative che erano arrivate sui rischi terrorismo prima del delitto di via Valdonica: “A qualunque attento lettore di quelle informative sarebbe venuto in mente il nome di Marco Biagi”.

Martedì 10 giugno anche dall’interrogatorio con l’allora ministro della funzione pubblica, Franco Frattini, quanto emerso non sarebbe stato molto diverso. Scajola, a una richiesta di Frattini, che aveva la delega ai servizi segreti, su Biagi avrebbe risposto con una generica rassicurazione, lasciando intendere che stava seguendo la cosa. Tuttavia l’ex ministro degli interni, ora agli arresti domiciliari per il caso Matacena con l’accusa di averne favorito la latitanza, in Senato dichiarò: “Non è ipotizzabile – disse allora a Palazzo Madama, riferendosi agli allarmi sulla sicurezza del professore – un mio interessamento mai richiesto da alcuno in una vicenda di cui non sono mai stato informato”.

Ma ci sarebbe di più. I magistrati bolognesi avrebbero rinvenuto tra le carte una circolare del ministero degli interni (finora mai venuta a galla) risalente al luglio 2001, 8 mesi prima dell’omicidio, in cui si annunciava che la competenza sulle scorte sarebbe stata ‘centralizzata’ al ministero degli interni. Una notizia questa che, se venisse confermata, aprirebbe uno scenario completamente nuovo. Finora – e anche durante la prima inchiesta sulla mancata scorta a Biagi, archiviata dallo stesso Gustapane all’inizio del 2004 – si era sempre indagato sul presupposto che la decisione sulle scorte era dei comitati provinciali per l’ordine pubblico istituiti in ogni prefettura. Tanto che, nel corso della prima indagine furono indagati (poi scagionati), tra gli altri, l’allora questore e l’allora prefetto di Bologna. Questa ‘nuova’ circolare inoltre renderebbe inoltre incomprensibile perché tra luglio e ottobre 2001, Marco Biagi si vide togliere le scorte prima a Roma, poi a Milano, a Bologna e a Modena, sempre con decisioni autonome prese città per città. E non per un provvedimento di Roma. L’unica circolare del Viminale della quale finora si era sempre parlato, era quella del settembre 2001: dopo gli attentati dell’11 settembre (che spostano l’ attenzione sul terrorismo internazionale e su nuovi obiettivi da proteggere) una circolare di Scajola, anche per la necessità di recuperare uomini nella nuova emergenza, chiese una ‘razionalizzazione’ delle scorte per indirizzare la sicurezza sugli obiettivi sensibili.

Nell’ambito della inchiesta bis sulla mancata scorta a Biagi (contro ignoti e con l’ipotesi di reato di omicidio per omissione), sono già stati sentiti diversi politici, l’ex capo del Sisde generale Mario Mori, gli allora vertici di Confindustria, Marina Orlandi, vedova del giuslavorista e Luciano Zocchi, nel 2002 segretario particolare di Scajola. La nuova inchiesta dei pm di Bologna ha preso corpo nei mesi scorsi proprio dopo il sequestro nell’archivio di Luciano Zocchi (nell’ambito di un’altra indagine), di alcuni documenti che potrebbero provare che Scajola sapeva, prima dell’omicidio, dei pericoli corsi da Biagi.

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