Ricco, omofobo e ministro degli esteri nella compagine del presidente Museveni, in carica dal 1986; questo il profilo di Sam Kutesa, ministro degli esteri ugandese, eletto l’altro ieri presidente della 69esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Incarico che ricoprirà per un anno a partire dal prossimo mese di settembre. Un’elezione, quella di Kutesa, accolta da una pioggia di polemiche e anticipata da una petizione online -che ha raccolto quasi 14000 adesioni- dove si chiede al governo americano di negare il visto diplomatico, necessario al politico ugandese per recarsi al Palazzo di Vetro.

A sollevare la questione, quando iniziava a circolare il nome di Kutesa tra i papabili per ricoprire l’incarico, fu Milton Allimadi, direttore del portale americano di informazione Black Star News; la ragione principale delle proteste, va individuata nella legge più omofobica al mondo, approvata ad inizio anno dal parlamento ugandese che prevede l’ergastolo per rapporti omosessuali (recidivi). Dal canto suo, Kutesa respinge al mittente l’accusa di omofobia ma anche quella, non meno pesante, di corruzione per il suo coninvolgimento in alcuni scandali che hanno coinvolto delle aziende petrolifere internazionali. Solo due anni fa, venne destituito dal suo ufficio ma presto reintegrato dallo stesso Musuveni. Con questo curriculum, non proprio limpido, il ricco avvocato ugandese si appresta ora ad insediarsi alle Nazioni Unite nonostante la presidenza dell’Assemblea Generale sia, de facto, un incarico di mera rappresentanza; e forse è proprio questa la ragione che ha spinto i paesi occidentali ad ignorare tanto le vicende giudiziarie del ministro quanto l’omofobia del governo di cui Kutesa è un importante esponente.

D’altronde, la designazione del presidente avviene a rotazione; questa volta toccava all’Africa che ha presentato il ministro degli esteri ugandese come unico candidato.

Nonostante il rigido protocollo diplomatico di New York è trapelato comunque un certo malumore per l’elezione, avvenuta per acclamazione; tanto l’ambasciatore britannico quanto quello statunitense al Palazzo di Vetro, hanno indirizzato al neo-eletto un monito affinché si preoccupi dei diritti di tutti. Magari, potrei aggiungere, cominciando proprio da quelli del popolo ugandese, governato da una quasi-dittatura retta ininterrottamente per quasi 3 decenni da Youweri Museveni

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