Un abbraccio scomodo, un  pontefice che punta al dialogo e  la questione araba-israeliana che fa audience. L’incontro in Vaticano voluto da Papa Francesco con i presidenti israeliano Shimon Peres e  palestinese Abu Mazen non è passato inosservato soprattutto a livello mediatico. “La vostra presenza signori presidenti – ha dichiarato il pontefice – è un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo”.

A tal proposito proprio Hebron, la città dei patriarchi, la città di Abramo è oggi divisa in due tra palestinesi e israeliani. Per la memoria storica israeliana ha un forte significato e Israele non vuole arretrare di un passo. Calcolando poi che lo stato israeliano sorge sul 78% della Palestina storica davvero i conti non tornano.  “Ci vuole coraggio – ha spiegato Bergoglio – per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”. 

Altro punto fondamentale è che la pace tra generali o presidenti non corrisponde alla pace della società civile. Già in precedenza i presidenti israeliano e palestinese nel corso degli anni si sono incontrati ma i risultati non sono mai stati davvero considerevoli se non nell’immagine. La memoria ci rimanda agli accordi di Oslo del 1993,  i protagonisti allora erano Rabin e Arafat. Accordi che fallirono tra l’altro per l’assassinio di  Rabin e il successivo avvento del primo governo Netanyahu.

Quando si parla del conflitto arabo-israeliano è giusto citare lo scrittore Amos Oz che parla di specificità di questo conflitto. Non è un conflitto tra il bene il male, tra chi ha ragione e chi ha torto. Sono due ragioni che non riescono a trovare un compromesso, non riescono a trovarsi a metà strada. A livello mediatico c’è il rischio di militarizzazione dell’informazione schierandosi dall’una o altra parte. Se si ha solo un approccio geopolitico non si comprende il vero problema. L’autorità palestinese rappresentata dal suo presidente Abbas rischia oggi di vacillare. Abbas è molto contestato politicamente ed ha pure una certa età. Ancora non riesce a identificare un suo successore. Si vocifera il nome di Marwan Barghouti, che però è nelle carceri israeliane con pochissime probabilità che il governo israeliano lo faccia uscire.

Intanto tra Hamas e Fatah c’è stata una conciliazione in vista delle elezioni. In precedenza già ci fu un accordo quando il governo di Abbas cercò qualche anno fa di svincolarsi dalla tenaglia israelo-americana facendosi riconoscere dalle Nazioni Unite lo status di membro. Approfittando di questo status è entrato in un diverso numero di organizzazioni dell’Onu.

Il futuro di Israele e Palestina è molto incerto ma all’orizzonte c’è qualcosa che in molti ignorano e che non basterà un muro per contenerla. Non sarà la bomba dello shahid (martire suicida) a preoccupare ma sarà la bomba demografica, con la popolazione araba che cresce sempre più rispetto alla popolazione ebraica. Nell’area geografica che comprende Israele e i Territori occupati nel 2020 vivranno 6,4 milioni di ebrei e 8,2 milioni di palestinesi, inclusi gli arabi israeliani. Uno scarto che diviene pesante, a favore della popolazione non ebraica, se agli arabi israeliani si aggiungono i palestinesi dei Territori occupati. Il ritmo di crescita della popolazione palestinese lascia a bocca aperta l’establishment israeliana. 

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