Ecco l’ennesimo ostacolo del percorso parlamentare della legge elettorale e delle riforme istituzionali che dovevano apparire i cento metri di Bolt e stanno diventando un 3mila siepi. L’ostacolo si chiama ballottaggio. Silvio Berlusconi, racconta il Corriere della Sera, se n’è accorto dopo le sfide finali delle elezioni amministrative, nelle quali molti candidati in vantaggio al primo turno di votazioni hanno perso tutto nel secondo. Un meccanismo che ha punito in particolare il Pd (a Livorno battuto dal M5s, a Perugia dalla stessa Forza Italia, a Padova dalla Lega), ma che al nord ha mietuto vittime anche tra le file del centrodestra: a Pavia è stato bocciato il “sindaco più amato” Alessandro Cattaneo, a Bergamo l’ha spuntata Giorgio Gori. In tutto i ribaltoni sono stati 13, ma “ormai la sorpresa sarebbe l’assenza di sorprese – ha scritto il costituzionalista Michele Ainis sempre sul Corriere – Non è più troppo sorprendente, tuttavia, la direzione del voto, o anche del non voto. L’uno e l’altro esprimono una furia iconoclasta, un anelito alla rottamazione universale, per usare la parola più alla moda. Gli italiani sono diventati radicali, ecco perché il centro non trova più seguaci. Di conseguenza sono diventati radicali anche i politici italiani, senza più mezze misure”.

Sembrava un patto inossidabile, ma ora è cambiato tutto: Forza Italia è di gran lunga terza e il centrodestra tutto insieme supera di poco il Movimento Cinque Stelle. Ma soprattutto l’ex Cavaliere l’ha sempre detto: un eventuale ballottaggio tra centrosinistra e centrodestra a livello nazionale (come prevede l’Italicum) finirebbe malissimo per i berlusconiani perché “i grillini voterebbero per il Pd”. Vero o no che sia, c’è già una data (il 17 giugno) per un incontro tra il leader di Forza Italia condannato e decaduto e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Obiettivo: togliere il ballottaggio dal testo della legge elettorale. Ipotesi: tornare al Mattarellum“Non abbiamo ancora fatto un’analisi del voto, ma non è saltato nulla” sulle riforme, dice Giovanni Toti, il consigliere politico del leader di Fi, “sulla legge elettorale non abbiamo ancora ripreso in mano il dossier. Il sistema del doppio turno e del ballottaggio francamente è poco rappresentativo con poca affluenza” alle urne.

Dopo il disastro delle Europee il centrodestra il ballottaggio non lo vedrebbe nemmeno con il cannocchiale: Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Lega e Fratelli d’Italia insieme hanno raggiunto il 31,1. Per giunta il Pd ha sfiorato il 41, quindi alla coalizione di Berlusconi resterebbero davvero solo le briciole. Anche per questo motivo il Mattarellum (magari da modificare) potrebbe essere uno scenario di ripiego più che accettabile per il Pd: prevede che le coalizioni si presentino in ogni collegio (abbastanza piccolo) e i democratici sfiderebbero in contemporanea centrodestra e Cinque Stelle, senza che gli elettorati si sommino, almeno in parte. Da capire poi cosa potrebbe accadere nel Movimento Cinque Stelle se si deviasse sul Mattarellum. L’M5s un suo testo depositato ce l’ha, prodotto dopo i numerosi referendum online: si tratta di un sistema proporzionale con preferenze (anche negative), soglie di sbarramento e collegi intermedi.

Eppure proprio il ballottaggio era stato il punto di caduta per dare l’ok all’intesa tra Renzi e Berlusconi: Renzi voleva il doppio turno, Berlusconi ha ottenuto una soglia per raggiungerlo non troppo alta (37%). Ma per buttare la palla in calcio d’angolo e riavviare le trattative il tempo c’è: Renzi deve aspettare che la commissione Affari costituzionali si trasformi da “nemica” a “amica”. Oggi è stato fatto fuori dalla commissione Mario Mauro e tra breve potrebbe essere il turno di Corradino Mineo. In questa attesa si possono inserire le nuove richieste di Forza Italia. “Manteniamo la fedeltà all’Italicum, ma aspettiamo di vedere quello che succede in Senato, anche perché questo stand by sulla legge elettorale non si comprende” prende tempo Francesco Paolo Sisto, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e relatore del provvedimento a Montecitorio. “Ad oggi – aggiunge – da parte nostra non c’è nessun cambio di posizione, anche se non si capisce per quale motivo questa legge non si riesce a fare. E’ chiaro che il discorso sulle riforme va visto in modo unitario e complessivo, non è un microproblema, ma un macroproblema. Si tratta di un discorso articolato che si sviluppa su diversi quadranti, ad esempio sul Senato è necessario un approfondimento, a partire dal sistema di elezione”. E l’Italicum è nato come studiato solo per la Camera, come se il Senato non esistesse già più (mentre a oggi è vivo e vegeto). L’unico freno a questo nuova posizione di Forza Italia potrebbero essere le frizioni interne al partito alle prese con il dinamismo di Raffaele Fitto e la sfida al leader che cerca di evitare la balcanizzazione del movimento.

I problemi Renzi ce li ha anche nel Pd, perché il trionfo delle Europee è stato “macchiato” dalla caduta di città come Livorno e Perugia. E’ proprio perché i problemi possono nascere alla sua sinistra che Renzi ha stretto a suo tempo il patto del Nazareno: non solo perché serve “la più larga maggioranza” trattandosi di regole del gioco e assetto istituzionale, ma anche perché il presidente del Consiglio non riesce a fidarsi della propria maggioranza e di qualche pattuglia di suoi stessi parlamentari. Da una parte il capo del governo deve tenere conto della forza parlamentare dei berlusconiani che non è affatto quella notevolmente ridimensionata dalle urne delle Europee e che quindi può fare comodo specie al Senato. Dall’altra l’eventuale richiesta di Berlusconi potrebbe essere una tentazione. Quando la partita è “Pd contro il resto del mondo” si è visto com’è andata (come a Livorno o Padova). Per farla più facile: in un ballottaggio centrosinistra-centrodestra è verosimile che una parte di coloro che votano M5s scelgano di turarsi il naso e scegliere Renzi per evitare Berlusconi, ma in un confronto decisivo tra centrosinistra e Movimento Cinque Stelle non è affatto escluso che gli elettori che di solito scelgono le destre gonfino le preferenze per Grillo e i suoi.

Il fatto nuovo, cristallizzato dalle amministrative, è che da tempo non ci sono più due poli, ma tre. E per dirla con Pierluigi Bersani “quando gli altri due si ammucchiano sono problemi. In generale credo che dovremmo considerare questa novità”. Considerare la novità, per l’ex segretario, significa anche riconsiderare una legge elettorale che può riservare sorprese non del tutto gradite, un concetto che l’ex segretario ripete da settimane. Al contrario, il presidente del Consiglio è convinto che ora il suo Pd debba navigare in mare aperto, senza affidarsi a “rendite di posizione” elettorali nelle roccaforti storiche. 

In ogni caso un colpo di grazia all’Italicum e una manovra di salvataggio verso il vecchio Mattarellum (non inviso neanche al Quirinale) si scontrerebbe con le ultime parole di Renzi sulla nuova legge elettorale, già licenziata dalla Camera e ora a palazzo Madama, che secondo il leader Pd deve essere approvata “entro l’estate”. Ma con le scadenze non gli è andata mai bene per ora da presidente del Consiglio: il 10 giugno è passato, per esempio, e la riforma del Senato è ancora lì in attesa in sala operatoria. 

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