La corruzione come sistema, fisiologia più che patologia. Proprio mentre l’inchiesta della Procura di Venezia fornisce un quadro sconcertante del malaffare celato dietro una delle più importanti opere pubblliche italiane, il Mose, arriva in libreria “Le mani su Milano“, inchiesta del giornalista Franco Stefanoni sugli “oligarchi del cemento da Ligresti all’Expo” (Editori Laterza, 18 euro). Il libro esce poche settimane dopo un’altra serie di arresti che ha interessato proprio gli appalti e gli incarichi per la grande esposizione del 2015.

Ma non è un riassunto di cronaca giudiziaria. “Le mani su Milano” racconta appunto il sistema su cui la corruzione prospera, stringendo l’obiettivo sul principe dei business, il mattone appunto, ricostruendo la storia e i retroscena dei più importanti interventi degli ultimi anni, con gli stessi protagonisti che ruotano, i legami con la politica e, con significativa regolarità, l’interesse della magistratura. Dalle origini – l’impero Ligresti,  appunto – ai nuovi “quartieri modello” come Santa Giulia e Citylife, alle aree Falck all’origine del caso Penati, fino all’ultima (per ora) puntata, Expo2015.

“Le mani su Milano” è presentato questa sera alle 21 a Milano, con il giornalista del Fatto Quotidiano Gianni Barbacetto e il deputato Pd Pippo Civati, alla libreria Centofiori di piazzale Dateo 5. Per gentile concessione degli Editori Laterza, pubblichiamo il brano che riassume i principali appalti concessi per Expo: molti i nomi che ricorrono nelle inchieste giudiziarie e nel recente caso Mose. 

 

“Nel marzo 2012, la gestione di tutti gli appalti per ogni tipo di opera passa alla società regionale Infrastrutture lombarde, enclave di Comunione e liberazione; l’impresa è chiamata ad assistere Expo spa, cui spetta comunque l’ultima parola. A valle, c’è la spartizione dei lavori tra aziende associate a Legacoop e alla Compagnia delle opere, che ricalca la formula già sperimentata tante volte nell’urbanistica meneghina. Sui terreni acquistati da Arexpo, i primi interventi di bonifica e ripulitura dalle cosiddette interferenze (stradine, cavi elettrici, alcuni torrenti), che nel complesso valgono 600 milioni di euro, sono già partiti per iniziativa della cooperativa rossa Cmc di Ravenna (vince offrendo 58 milioni rispetto alla base d’asta di 90, ma poi ne chiede altri 30 per le bonifiche e ottiene una cospicua revisione dei costi), mentre quelli propedeutici alla viabilità sono stati vinti dalla società Engeco.

Cmc la spunta con uno sconto di quasi il 43 per cento, di poco superiore a quelli dei concorrenti Locatelli (già coinvolta nell’inchiesta sulla discarica vicino a Cremona) e Dec dei fratelli De Gennaro (chiamati in causa nello scandalo degli appalti edilizi a Bari e nel crac del San Raffaele). Nel maggio 2012, la procura della Repubblica di Milano perquisisce la sede della società comunale Metropolitana milanese, società coinvolta con Expo spa nella gara vinta da Cmc, ipotizzando il reato di turbativa d’asta. Nel dicembre 2013 saranno formalizzate le prime accuse per presunte tangenti, che trascinano dentro esponenti di Comunione e liberazione. La pista investigativa è figlia dell’indagine sull’ex assessore pdl Franco Nicoli Cristiani, accusato di corruzione.

Ma per Infrastrutture lombarde la gara d’appalto fondamentale è quella per la cosiddetta piastra, ovvero l’ossatura di percorsi, impianti, reti di comunicazioni, allacciamenti e canali su cui si costruiranno tutti i padiglioni e la futura Smart City. Sono oltre 17 mila metri di recinzioni, 70 mila metri quadrati di spazi d’acqua, più le aree di servizio. Nell’estate 2012 la competizione è vinta, ancora con il metodo dell’offerta al massimo ribasso, dal pool d’imprese costituito dalla capofila Mantovani insieme alla romana Socostramo, Consorzio veneto cooperativo, Sielv e Ventura (Compagnia delle opere). Il gruppo di aziende sconfigge l’impresa Pizzarotti e altri sette partecipanti tra cui Astaldi e Impregilo, pagando circa 165 milioni al posto dei 272 di base d’asta, dunque con un sconto record di oltre 100 milioni. Il ribasso del 41 per cento solleva contestazioni e la procura della Repubblica di Milano indaga i vertici di Infrastrutture lombarde, con in testa il direttore generale Antonio Rognoni (dimissionario a inizio 2014, anche se in realtà continuerà a presenziare nei cantieri), con l’ipotesi che abbiano confezionato la gara a vantaggio del pool guidato dalla Mantovani, il cui amministratore delegato, Piergiorgio Baita, sarà arrestato per associazione per delinquere, fatture false ed evasione fiscale nell’ambito della costruzione del Mose a Venezia nel mar- zo 2013.

Successivamente, l’inchiesta su Expo 2015 si allargherà fino all’arresto, nel marzo 2014, di otto dirigenti e professionisti, primo dei quali proprio Rognoni. Secondo i pm Alfredo Robledo, Antonio D’Alessio e Paola Pirotta, il direttore generale di Infrastrutture lombarde e gli altri fermati («Con una comune vicinanza agli ambienti riconducibili alla Compagnia delle opere») avrebbero creato una «struttura parallela composta sempre dagli stessi avvocati esterni per realizzare la parte più delicata dell’attività, escogitando soluzioni tecnicamente adeguate rispetto alle illecite finalità preordinate dalla struttura stessa»”. 

da “Le mani su Milano”, di Franco Stefanoni, Editori Laterza 2014

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