Lo Stato siamo noi? No, sono loro!”. Queste sono le prime parole che ho potuto leggere aprendo il nuovo libro di Paolo Bracalini, “La Repubblica dei mandarini. Viaggio nell’Italia della burocrazia, delle tasse e delle leggi inutili”. E per un teapartysta è come un invito a nozze. Da quattro anni, ormai, andiamo ripetendo che lo Stato è altro da noi, perché se fossimo davvero noi, citando un amico, allora di certo ci tratteremmo meglio (pensateci: se noi fossimo lo Stato non ci ammazzeremmo a colpi di tasse, non ci complicheremmo la vita con tutta questa burocrazia, non faremmo di tutto per far fallire le nostre aziende, non ci metteremmo Equitalia alle calcagna)! Se a ciò aggiungiamo che nella prefazione il professor Luttwak cita direttamente i nostri cugini americani, riconoscendo i meriti delle loro battaglie, ecco che questo libro-inchiesta si va a posizionare automaticamente nella biblioteca degli attivisti del movimento.

Scrive Luttwak (forse con un piccolo eccesso di ottimismo verso l’attuale situazione politica ed economica americana) che “il movimento dei Tea Party ha giocato un ruolo fondamentale in Usa permettendo di raggiungere un livello di crescita, superiore a quello italiano del 250%, con relativo crollo della disoccupazione, semplicemente tagliando la spesa pubblica. Democratici e repubblicani hanno fatto proprie le idee del Tea Party: se si licenziano 100 dipendenti pubblici e si tagliano le tasse, con il risparmio la disoccupazione non aumenta di 100, ma diminuisce di 300”. E conclude: “Il libro di Bracalini non è mera protesta. Offre l’unica soluzione possibile: tagliare lo Stato”. Ad ufficializzare questa vicinanza tra il libro e le idee del movimento, Tea Party Italia a partire dal 20 giugno inizierà un tour di presentazione del libro in diverse città della penisola (similmente a quanto già fatto con il precedente best seller di Bracalini: “Partiti S.p.a.”), in compagnia dell’autore e di Nicolò Petrali, un giovane e bravo giornalista che ha collaborato alla stesura dell’opera.

Non vorrei comunque si pensasse che “La repubblica dei mandarini” sia una lettura consigliabile solo per chi ha delle idee simili alle nostre. Anzi, oserei dire che è proprio il contrario. Un antistatalista convinto, infatti, può solo “divertirsi” a vedere come, pagina dopo pagina e di capitolo in capitolo, le sue idee di partenza vengono confermate. Può scoprire nuovi dettagli e curiosità con un sorriso amaro stampato sul volto, crogiolandosi comunque in quello che è il suo habitat naturale. Al contrario, proprio gli statalisti (ovvero coloro che costituiscono purtroppo la gran parte della società italiana) potrebbero ricavare il miglior beneficio dall’approccio a questo libro. Perché per una volta ascolterebbero una musica diversa dal solito e una voce fuori dal coro. Il mio “consiglio alla lettura” si rivolge allora soprattutto a questi ultimi: se davvero siete così superstiziosi da credere che “lo Stato siamo noi”, che “se tutti pagassero le tasse, tutti pagherebbero meno”, che “se l’Italia è in difficoltà è colpa dell’evasione fiscale”, affrettatevi a leggerlo: potreste scoprire qualcosa.

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