Il settore dei taxi e quello, simile, del “noleggio con conducente” (Ncc) ha un rilevante ruolo economico nei paesi sviluppati: si pensi che in una città con molta domanda d’affari come Milano, si stima che il fatturato del settore non sia inferiore a quello del trasporto pubblico (in area urbana), cioè dell’ordine dei 300 milioni di euro annui. Una ricerca dell’Automobil Club ha dimostrato che la domanda per questo servizio è molto elastica: una riduzione delle tariffe vedrebbe un più che proporzionale aumento dell’utenza e tale utenza non è affatto limitata agli alti redditi, come si potrebbe pensare. Per spostamenti occasionali di persone o famiglie prive di automobile il taxi è spesso indispensabile. Ma il settore è caratterizzato in Italia (e non solo) da una ridotta governabilità e un alto grado di monopolio, composto solo da artigiani individuali proprietari del veicolo (le imprese con molti veicoli e personale dipendente non sono consentite!) e non prevede alcuna competizione tariffaria. I vincoli normativi imposti dai tassisti al NCC limitano a una nicchia poco rilevante questo tipo di servizio, che ha l’obbligo di rimanere in autorimessa fino a che l’utente non telefona e spesso può operare solo nel Comune di residenza. Anche l’aumento del numero di licenze, spesso vistosamente insufficienti, è osteggiato dalla categoria. Le licenze infatti hanno raggiunto valori rilevanti nel “mercato secondario”, che è consentito. Tale valore è espressione diretta della rendita di monopolio che si genera nel settore. I titolari delle licenze giustificano questi valori come “alternativa alle pensioni di cui non godono”; concetto peculiare.

Verso l’auto ”peer to peer”
Un monopolio perfetto, capace di paralizzare grandi città e condizionare con una massa compatta di voti il consenso locale. I tentativi di riforma già falliti: ci provò l’assessore Walter Tocci a Roma, che propose di estendere le licenze regalando quelle nuove ai titolari precedenti, al fine che la diminuzione di valore non danneggiasse chi le avesse acquistate. L’iniziativa fu fatta fallire, e Tocci fu “dimissionato” dal suo stesso partito, il Pd. Poi ci provò il governo Monti, a introdurre elementi di liberalizzazione, che furono via via ammorbiditi fino a svanire. Anche la nuova Autorità indipendente dei trasporti sembra sia stata esautorata dall’occuparsi del settore.

Recentemente abbiamo assistito a una clamorosa conferma della difficoltà di aprire il settore all’innovazione, con le proteste contro l’amministrazione milanese che non avrebbe imposto vincoli sufficienti a un nuovo soggetto, Uber, che ha tentato di entrare nel mercato (con successo). Vincoli richiesti dai tassisti stessi, con metodi anche al limite della legalità, ma comunque appoggiati alla normativa esistente che impedisce ogni concorrenza, che in questo caso non è neppure diretta. Si tratta infatti di un servizio a chiamata (mediante una app) che offre al cliente la disponibilità della macchina più prossima, ma con tariffe mediamente più alte di quelle dei taxi (e macchine più lussuose). Certo, trattandosi di autonoleggio, il sistema non obbliga il veicolo a sostare in garage, come prevede l’assurda norma attuale. Uber è una impresa nata negli Stati Uniti, dove il servizio è consolidato e da tempo, e si rivolge soprattutto a una clientela d’affari.

Si tratta dunque di una concorrenza sulla qualità, non sui prezzi.

Quest’ultima forma di concorrenza, certamente possibile abbassando un po’ l’alto standard dei veicoli di Uber, sarebbe assai più devastante per gli interessi dei tassisti, e benefica per gli utenti. Uber opera un servizio informatico per i noleggi con conducente quasi peer to peer, per mettere in contatto chi è disposto a offrire e guidare la propria auto anche occasionalmente, a chi ne ha bisogno. Il tutto in un quadro “di club”, cioè di garanzie assicurate dalla società che fornisce il servizio. Prima di Uber, Google negli Stati Uniti ha avviato con successo un servizio peer to peer di noleggio temporaneo di auto di privati (senza conducente), che verosimilmente arriverà anche in Italia.

Ma la corporazione dei tassisti, come tutti i monopolisti, si oppone al principio stesso della concorrenza.

Che hanno fatto i tre moschettieri politici preposti al settore, cioè Maurizio Lupi come ministro dei Trasporti, Roberto Maroni per la Regione Lombardia, Giuliano Pisapia per il Comune di Milano? Prima hanno dichiarato di non essere contro l’innovazione e la concorrenza, poi hanno subito aggiunto che il monopolio dei tassisti non si tocca.

Che occorra cambiare la normativa, visto il mutare del contesto tecnologico e dell’interesse pubblico, neanche a parlarne. La politica deve proteggere i voti sicuri dei monopolisti, soprattutto se molto “vocali”, e non certo quelli, assai meno controllabili, degli utenti. Sul piano pratico l’innovazione normativa, come scrive anche Franco Morganti sul Corriere, è quella di accelerare la transizione a sistemi tipo Uber, cioè di contatto diretto utenti-taxisti, NCC, e, con adeguate garanzie, anche privati, ponendo fine alle assurde distinzioni di oggi. Come minimo si doveva dare un robusto annuncio all’opinione pubblica in questa direzione. Ma forse è meglio non insinuare nei cittadini il dubbio che si possa migliorare la loro mobilità con pericolose innovazioni tecnologiche o gestionali.

Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 28 maggio 2014 

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