Nairo Quintana diventa il primo colombiano (anche sudamericano) della storia a concludere il Giro d’Italia “Con il nastro rosa” che lui potrà intonare anche nella versione spagnola “La Cinta Rosa”. Questa vittoria aggiunge all’albo d’oro della corsa un Paese che sta sfornando, oggi come non mai, talenti puri. Primo Nairo, 24 anni, faccia da indio e secondo Rigoberto Uran Uran che riconferma il posto d’onore dello scorso anno.

Scalatore il primo, corridore più completo il secondo ma quest’anno non si discute, Quintana, che già al Tour 2013 aveva mostrato le stimmate del campione, si è preso il Giro senza scomporsi più di tanto. Probabilmente non era nemmeno al 100% ma nella terza settimana ha domato “Questo inferno rosa”. Cito Battisti per gioco e perché “fra discese ardite e risalite” è venuto fuori lui, che da bambino quasi “guidava a fari spenti nella notte”.

Nairo, per campare, ha fatto anche il tassista, ma non avendo l’età per la patente, esercitava l’attività solo di notte per evitare i controlli. Il ciclismo ha scoperto il suo talento e l’ha tolto dalla povertà, il suo talento l’ha lanciato in alto fino al secondo posto del Tour 2013 “e poi ancora in alto con un grande salto” la vittoria al Giro che sembra solo un trampolino per altri grandi traguardi.

Uran è rimasto un gradino sotto, in tutti i sensi. L’Italia invece scopre che sulla scia di Vincenzo Nibali c’è un corridore da corse a tappe con ampi margini di crescita. Fabio Aru, classe ’90 come Quintana, sale sul terzo gradino del podio e per adesso c’è da godere di quanto mostratoci sulle salite più dure e attendere un radioso futuro prossimo perché ne sono certo “Non sarà un’avventura, non può essere soltanto una primavera”.

Per tutti e tre i protagonisti di questo Giro D’Italia adesso si aprono scenari differenti e il Tour di luglio può far gola. E’ difficile pensare di essere competitivi in due grandi corse a tappe, ravvicinate e con due come Froome e Contador che hanno la maglia gialla come obiettivo stagionale.
Quintana ha già detto che pensa alla doppietta per il 2015. A mente fredda però, direttore sportivo e corridore si guarderanno in faccia per farci un pensierino, “Io vorrei…non vorrei…ma se vuoi”.

Fuori dall’aspetto sportivo verrà ricordata la proposta di matrimonio nel bel mezzo della crono del Montegrappa. L’olandese Jos van Emden della Belkin, si è fermato, è sceso dalla bicicletta, si è avvicinato all’ammiraglia e poi a bordo strada dove ha chiesto alla sua fidanzata Kimberly Herpelinck di sposarlo. Ovviamente sarà stato il corridore più felice a tagliare il traguardo quel giorno nonostante gli 11’56’’ di distacco dal vincitore, ma adesso dovrà allenarsi per “preparare” bene il matrimonio dopo l’inevitabile sì di Kimberly.  Fiori d’arancio dunque per i due promessi sposi olandesi ma un bouquet di “fiori rosa fiori di pesco” sembra azzeccato.

Potremmo discutere sul tasso tecnico di questo Giro, sul declino della generazione degli ultratrentenni (Basso, Cunego e nonostante la grinta Evans) sulla confusione di alcune decisioni dell’organizzazione e su ciò che ha funzionato e ciò che è da rivedere. Si parlerebbe all’infinito senza venire a capo di nulla.

Questo è stato il Giro d’Italia 2014 e come ogni paragrafo di storia di ciclismo e del nostro Paese, va in archivio lasciando a ogni appassionato la facoltà di ricordarlo così come lo ha vissuto. In sella, sulle strade o davanti alla tv le percezioni sono diverse e i giudizi personalissimi ma “Tu chiamale se vuoi, emozioni”.

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