In conferenza stampa la maglia rosa Nairo Quintana ha annunciato che l’anno prossimo parteciperà al Tour e che forse potrebbe osare l’accoppiata col Giro, ma lo ha detto con poca convinzione. Ha elogiato la bellezza della corsa rosa, per forza, tante montagne e un lotto di avversari potabili.

Secondo al Tour del 2013, primo al Giro del 2014, è entrato nell’olimpo dei grandi campioni? 

“Posso dire che ho imparato moltissimo qui, come correre, come gestire la squadra, come distribuire le energie”. Era arrivato malaticcio, nessuno ne ha approfittato. La vicenda della discesa dello Stelvio l’ha irritato o lo ha motivato? “Bueno, è stata una motivazione in più. Ci si è soffermati sulle polemiche, non sulla bellezza e il modo spettacolare in cui ho vinto. Molti non hanno voluto vedere…così ho affrontato la cronoscalata per dimostrare chi sono”. 

Appunto, chi è Quintana?

“Sono un essere umano come tutti, un tipo molto tranquillo in apparenza, però dentro, come gli altri, sento il dolore, la fatica, anche a me fanno male le gambe”. 

Viene da un paesino sperduto della Colombia, come ci si sente adesso che ha vinto una grande corsa a tappe, come il Giro d’Italia?

“Intanto non è un paesino sperduto, mica viviamo nella foresta. Vengo da un posto molto bello. Un posto in cui non manca nulla che non abbiano altri Paesi. Sono orgoglioso di essere nato lì, e credo che lo siano i miei connazionali di me”. 

Cosa prova ad essere il primo colombiano a vincere il Giro?

“Non so bene come spiegare come mi sento. O meglio: so di essere diventato un uomo completo, non solo nel ciclismo. Sono cresciuto in fretta, è la vita stessa che mi ha spinto. Ora sono sicuro di poter dare spettacolo, in questo sport, e fare grandi cose, e rendere felici coloro che credono in me. Ho lavorato duro, intensamente. Sono stato fortunato ad entrare in una grande squadra, dove ho trovato un grande maestro che mi aiuta, che mi insegna il ciclismo. È Eusebio Unzue. Io lo ascolto sempre, e so che ha ragione. Se poi le gambe vanno bene…”. 

La nuova generazione dei corridori colombiani si è evoluta, ha ridotto il gap culturale con la vecchia ansimante Europa: “Giovani come me ce ne sono, e anche il mio amico Rigoberto sta facendo grandi cose. E dietro noi ci sono dei ragazzi di grande talento. Stanno crescendo”. Come Sebastian Henao, vent’anni e già coi più forti. A domani. Il Giro del 2014 si accomiata da Trieste.

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