“Extra vergin suicide”. Non si tratta di una canzone pop, ma di un titolo apparso qualche mese fa sul sito del New York Times. Il riferimento è all’olio extravergine d’oliva “made in Italy. Ma per rendere ancora più chiaro il messaggio, il giornalista e illustratore Nicholas Blechman raffigura il simbolo della morte sostituendo il teschio con un’oliva. Avete capito bene, il nostro olio d’oliva, ingrediente salutare della tanto imitata dieta mediterranea, diventa negli Stati Uniti il simbolo della morte. Il motivo di questa associazione è che “la maggior parte dell’olio d’oliva venduto come italiano non è in realtà di origine italiana, ma prodotto con olive che arrivano da Spagna, Marocco e Turchia”. Una filiera che termina il suo ciclo negli stabilimenti italiani, dove “l’olio viene mixato con olio più economico e mescolato con beta carotene, per nascondere il sapore, e clorofilla per colorare”. E per non deludere l’immagine dell’italietta all’estero, tutto ciò avviene con l’avvallo della politica, complice dei produttori poco onesti.

Sempre sul New York Times, Eric Asimov, critico ed esperto di vini, punta il dito contro i produttori italiani di Pinot Grigio “che spesso cercano di trarre profitto da tanta popolarità (è uno dei vini più venduti in America ndr) facendo un vino mediocre e insipido con metodi cinici”. Il dubbio che innesta l’autore dell’articolo è che – anche in questo caso – i produttori cerchino di risparmiare sulla filiera per guadagnare di più.

Leggendo questi due articoli mi sono chiesta: gli Stati Uniti, culla degli hamburger farciti di salse artificiali, delle alette di pollo fritte e degli Ogm, danno lezioni all’Italia? Al nostro Paese, che vanta una tradizione alimentare eccellente riconosciuta in tutto il mondo? 

A parte una prima reazione dettata dall’orgoglio italiano, mi preoccupa l’immagine di cibo taroccato che articoli come questi possono diffondere all’estero e penso sia assolutamente necessario non sottovalutarli. Vanno affrontati con regole, anche di etichetta, e sanzioni certe.

E’ notizia di ieri il sequestro di 30 mila bottiglie di falso Brunello di Montalcino prodotto tra Liguria, Toscana, Umbria e Lazio. Episodi come questi devono essere estirpati all’origine. 

L’export in campo alimentare è l’occasione che abbiamo per il rilancio del nostro Paese. L’anno scorso è aumentato del 4,8%. Ancora troppo poco se pensiamo che la quota dell’Italia si ferma al al sesto posto in Europa con il 15,2% del totale. A precedere l’Italia non sono solo Francia, Germania e Spagna, ma addirittura il Belgio che ha un peso doppio con il 31% di esportazioni agroalimentari.

Meno di una settimana fa abbiamo votato per le elezioni europee, forse poco consapevoli del fatto che quello è un tavolo in cui si giocano partite strategiche per potenziare e soprattutto difendere il nostro made in Italy agroalimentare. Il Ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina dovrà andare a Bruxelles e imporre il “food- compact”, necessario non solo per aumentare il Pil nazionale, ma anche per rendere più forte l’Europa.  

In ballo non ci sono interessi solo economici, ma anche politici: l’Europa infatti sta negoziando con gli Stati Uniti il TTIP – Transatlantic Trade and Investments Partnership – trattato che mira a creare la più grande zona di libero scambio del pianeta: circa 800 milioni di consumatori per quasi la metà del prodotto mondiale lordo. 

Una partita fondamentale per gli equilibri mondiali del commercio, in cui l’Europa può contare su una carta vincente: l’Italia, la patria del prossimo Expo.

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