Sono più di vent’anni ormai che ci abboffano con il mantra della concorrenza.

E’ del resto assai prevedibile che un Paese del tutto incapace di provvedere alle reali necessità dei propri cittadini, insegua caninamente “riforme a costo zero” e altre amenità suscitando false speranze di cambiamento e nascondendo l’inconsistenza delle proprie politiche economiche.

“Basta con i monopoli pubblici inefficienti!”

“Dobbiamo privatizzare!”

E così abbiamo avuto in dono magnifici esempi di tafazzismo regolamentare come la privatizzazione delle autostrade (ancora non mi spiego che diavolo c’entri il mercato con la vendita di un monopolio naturale… speravamo forse che qualcuno costruisse un’altra A1 affianco a quella dei Benetton?), quella delle banche pubbliche e, da ultimo, la geniale apertura ai privati del servizio ferroviario (solo sulle tratte profittevoli, ovviamente, le altre ce le teniamo strette).   

Non c’è nulla di meglio, però, che pigliarsela con i piccoli, quelli che non hanno la forza di difendersi da soli e massacrarli al grido di “Evviva il libero mercato!”. E allora dagli al tassista, dagli al farmacista, dagli al negoziante. Cosa può esserci, del resto, di più divertente che mettere in concorrenza un piccolo commerciante con le multinazionali della distribuzione o un tassista con l’ultima app miliardaria per smartphone?

E già, perché la depravazione del liberismo de noantri ci ha portato proprio a questo: nel presunto intento di liberalizzare i mercati e conseguirne benefici in termini di efficienza, abbiamo consegnato o stiamo consegnando intere categorie di piccole imprese alle avide fauci di concorrenti enormemente più forti. E il risultato ovviamente non è una competizione leale ed equilibrata, ma, al contrario, lo sterminio di interi settori produttivi.

Un esempio spaventosamente chiaro di questo processo suicida è la legislazione sugli orari e le aperture degli esercizi commerciali. Con uno dei tanti decreti emergenziali (il 201 del 2011), e al termine di un processo pluriennale di smantellamento delle tutele della piccola impresa, il Governo Monti ha soppresso definitivamente qualsiasi forma di regolazione degli orari e delle aperture di nuovi esercizi: la misura – assieme, naturalmente, alla generalizzata caduta della domanda aggregata – ha contribuito al trionfo della grande distribuzione organizzata, allo spopolamento di molti centri storici e alle decine di migliaia di chiusure di piccoli esercizi denunciata dalla Confesercenti ancora alla fine del 2013.

E’ il caso di chiedersi: in cambio di che? A consuntivo di questa inarrivabile opera di desertificazione economica, noi consumatori siamo davvero più felici? Ci abbiamo davvero guadagnato? La possibilità di fare shopping oltre le 8 di sera vale così tanto?

Ma non ci basta mai. Recentemente una delle più promettenti applicazioni Web sul mercato è stata lanciata anche in Italia e minaccia di gettare sul lastrico qualche decina di migliaia di famiglie che hanno avuto la cattiva idea di comprarsi una licenza da tassista. Si chiama “Uber” e si basa su un’idea molto semplice: chiunque di noi può iscriversi al sito, scaricare l’applicazione ed essere immediatamente connesso con il gestore. Consultando la mappa dal cellulare si individua l’autista “Uber” più vicino e, con un semplice addebito su carta di credito, si viene scarrozzati a pagamento. Al termine è anche possibile dare un voto in pagella all’autista, il quale, se ha ben operato, sarà richiamato per servire altri clienti.

Bello eh? Peccato che questa fantastica idea si scontri con un regime legale di riserva di attività, che regolamenta il mercato delle auto di pubblico servizio e attribuisce solo ad una determinata categoria di soggetti (i tassisti, appunto) il diritto di fare il mestiere. Ovviamente ci si aspetterebbe che la politica intervenga a impedire lo scempio.

L’assessore milanese alla mobilità Maran, invece, si è distinto con la seguente dichiarazione: “Come Comune di Milano vogliamo portare al Governo una proposta per restituire ai servizi taxi ed NCC regole certe e accettabili per tutti, definendo per legge l’esistenza di intermediari NCC (di cui oggi la legge 21/92 non parla, ma che nei fatti esistono) e stabilendo in modo chiaro le norme cui devono sottostare”. Capito? Non “Impediremo a tutti i costi il caporalato ai danni dei cittadini che hanno pagato fior di quattrini per una licenza”, ma “Definire per legge l’esistenza di intermediari NCC”, che per legge vigente, appunto, non dovrebbero esistere!

Ovviamente i tassisti (in particolare quelli milanesi) hanno reagito come è sacrosanto che reagiscano (ovvero infuriandosi), mentre, per tutta risposta, le prefiche della libera circolazione dei capitali sono corse in soccorso del più forte, accusandoli di protezionismo e strappandosi i capelli in nome della concorrenza.

La solita solfa, insomma. Prima che ne dicano troppe però, voglio segnalarvi questi interessanti post dove troverete un po’ di notizie sull’ultimo campione della concorrenza a nostre spese: Uber, che ha come azionisti Google e Amazon, ha già raccolto 307 milioni di dollari di capitale e punta a quotarsi in borsa con un valore sperato di 3 miliardi.

Ecco contro chi combattono i tassisti milanesi. Ecco in aiuto di chi si schierano i difensori del libero mercato.

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