Dal 1994, è l’uomo che fa luce sulle scene dei disastri ferroviari di ogni parte d’Italia. Lodi, Cuneo, Domodossola, l’incidente della metro di Roma e la strage del Pendolino di Piacenza del ’97: Angelo Laurino, 51 anni, comandante della squadra di polizia giudiziaria del dipartimento Polfer per la Regione Lombardia, si è occupato anche del disastro di Viareggio, il più grave della storia delle ferrovie, non solo italiane, tanto che dopo la strage del 29 giugno 2009 è stato istituito il Noif, Nucleo Operativo Incidenti Ferroviari, di cui Laurino fa parte insieme ad altri 4 colleghi.

“Sono quello che arriva sulla scena del delitto. Dopo Viareggio mi sono occupato di altri 3 incidenti ferroviari: a Milano dove un treno è finito nel cortile di un condominio, a Bergamo e a Sondrio” racconta l’ispettore della Polfer. In aula a Lucca per testimoniare sulla strage di Viareggio, Laurino è certamente il teste più atteso dell’intero processo. Intorno ai suoi pareri, alle sue verifiche, ai risultati dei suoi innumerevoli sopralluoghi – raccolti dalla Procura di Lucca in un faldone di 166 pagine con foto e schemi allegati – sta la verità su quella notte.

Sì, perché il processo sul disastro di Viareggio si gioca tutto su alcuni complicati dettagli tecnici difficili da analizzare persino per i pm e i giudici. Dettagli, come il ruolo giocato dalla piegata a zampa di lepre o dal picchetto, che potrebbero far pendere la bilancia della giustizia da una parte o dall’altra, contro Ferrovie o a favore di esse. In ballo, non c’è solo la verità per i parenti delle 32 vittime, ma un intero sistema ferroviario che, in caso di negligenze nel sistema della sicurezza, dovrebbe essere rivoluzionato, con costi davvero enormi.

Laurino è arrivato visibilmente sotto stress al banco dei testimoni, la cui deposizione seguiva quella commovente di un sopravvissuto e quella straziante di un padre che ha perso la figlia di 21 anni. Laurino non ha dubbi: a provocare il deragliamento è stata soprattutto la frattura di un fusello. “La ruggine era diffusa su tutto l’assile” spiega mostrando la foto di una coppia di ruote collegate da un asse completamente arrugginito. Una volta deragliata, la cisterna si è ribaltata. E, a causarne lo squarcio, sarebbe stato proprio il picchetto, cioè quel pezzo di metallo tagliente piantato in verticale ai lati dei binari che serviva per regolarne le curve, oggi sostituito da tecnologie gps più avanzate e sicure.

“Il picchetto – ha detto l’ispettore – è l’elemento che abbiamo rinvenuto con una forte abrasione con 7 cm almeno di vernice bianca staccata. E non era nella sua posizione normale”. Come a dire che con ogni probabilità è stato quello ad aver inciso la cisterna e provocato lo squarcio da cui è fuoriuscito il gpl. E non, come vorrebbero far credere i consulenti di Ferrovie e del gip, la piegata a zampa di lepre, cioè un pezzo di rotaia. “Quella – ha sostenuto Laurino in aula – non sopravanzava l’altezza del binario nella maniera più assoluta. Le foto e le tracce ci dicono che dalla zampa di lepre ci è passata la sottostruttura del carro, mentre la cisterna l’ha solo sfiorata, non incisa”.

Da almeno 8 anni alcune direttive chiedevano che i picchetti venissero rimossi. Cosa che è avvenuta con le linee ad alta velocità. Il punto è tutto qui: le zampe di lepre sono parti ineliminabili. Se la colpa fosse della zampa di lepre, le Ferrovie si vedrebbero sollevate da molte responsabilità. Laurino ha risposto per oltre sei ore alle domande incalzanti dei pm Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino. Fino a che il giudice Boragine, vedendolo provato, non ha rimandato l’udienza a mercoledì 4 giugno.

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