Il suo nome è associato a una delle più comuni malformazioni genetiche neonatali, che colpisce 1-2 bambini su 1000 in prevalenza maschi e le cui cause non sono ancora del tutto note, il Piede torto congenito. Quest’anno ricorre il centenario dell’individuazione della metodica poi riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come “Gold standard, metodo conservativo più efficace, per il trattamento del piede torto congenito”. Il centenario sarà celebrato con un simposio internazionale a Barcellona i primi di giugno. Fu Ignacio Ponseti, medico spagnolo che nella seconda metà del secolo scorso, presso la University of Iowa, che mise a punto la metodica.

Eppure il cosiddetto metodo Ponseti è ancora quasi sconosciuto. In Italia i medici che lo applicano si contano sulla punta delle dita. Letteralmente. Sono, infatti, meno di una decina. “A livello europeo la letteratura medica ha iniziato a occuparsi dei risultati ottenuti con il metodo Ponseti circa 10-15 anni fa – afferma uno di loro, Sergio Monforte, ortopedico presso l’ospedale pediatrico Buzzi di Milano, tra i pochi in Italia accreditati al trattamento del piede torto congenito dalla Ponseti international association (Pia) -. Si tratta di un’associazione no profit che ha centri di addestramento in più di 70 Paesi del mondo e cura ogni anno circa 20mila bambini affetti da piede torto, in prevalenza nei Paesi in via di sviluppo – spiega il medico lombardo -. Personalmente, nell’ultimo decennio ho applicato questa metodica a 850 bambini, provenienti da tutta Italia. I risultati sono in linea con quelli riportati dalla letteratura internazionale: a fine trattamento oltre l’80% dei bambini possono considerarsi guariti. Ciononostante, in Italia siamo ancora in forte ritardo. Nel nostro Paese, infatti – denuncia Monforte – non sono mai stati organizzati corsi Pia ufficiali sul metodo Ponseti”.

Ma in cosa consiste questo trattamento e per quali ragioni è così poco utilizzato? “Il Ponseti è un trattamento in prevalenza domiciliare, ambulatoriale, che nella maggior parte dei casi permette di recuperare gli arti, non solo anatomicamente ma anche funzionalmente, fino all’età adulta. Alcuni individui nati con questa patologia – spiega Monforte – negli anni sono persino diventati atleti olimpionici. Il metodo consiste in una serie di manipolazioni dei piedi, seguite da ingessature di durata settimanale, per fare assumere agli arti, ricurvi verso l’interno, una posizione normale e consentire loro di crescere in modo armonico. L’aspetto positivo di questa metodica – sottolinea il medico – è che non comporta interventi chirurgici invasivi, salvo in alcuni casi una lieve incisione al tendine di Achille, dopo la quale i bambini devono portare un tutore, dapprima per 23 ore e poi per un tempo limitato alle sole ore notturne, fino ai 4-5 anni di età. Un notevole vantaggio rispetto alla chirurgia tradizionale. Eppure – lamenta Monforte -, nonostante esistano ormai protocolli standard approvati dall’Oms, c’è una chiusura a riccio, un vero e proprio ostracismo culturale. Molto spesso si tende, infatti, a pensare che la chirurgia possa risolvere quasi tutto, piuttosto che ricorrere a un trattamento di tipo conservativo”.

Negli ultimi cinque anni, però, qualcosa sembra stia iniziando a cambiare. “In precedenza – sottolinea Monforte – nel nostro Paese quasi nessun neonato era sottoposto al metodo Ponseti e, a volte, in presenza di diagnosi di piede torto congenito, si ricorreva anche all’aborto. Adesso, il 60% dei circa 500 bambini nati ogni anno in Italia con la patologia è correttamente sottoposto a questa metodica. E il merito – chiarisce il medico lombardo – è soprattutto del Web, che ha contribuito dal basso a creare una rete di relazione tra le persone. A diffondere, attraverso blog, siti e social network, le conoscenze sulla metodica Ponseti, creando un feedback positivo tra medici accreditati e pazienti. Tutto è partito dalle famiglie. E, come risultato, anche altri centri, come il Gaslini di Genova o il Rizzoli di Bologna, si stanno attrezzando per praticare il trattamento”.

Un fenomeno insolito e repentino, già verificatosi negli Usa più di dieci anni fa, che ha attirato l’attenzione degli studiosi dell’Università Bocconi, spingendoli ad analizzare come Internet ha modificato i flussi sanitari in relazione a questa patologia. “Il metodo Ponseti rappresenta un importante esempio di evoluzione del cittadino-paziente, che ha un ruolo sempre più attivo rispetto alla propria domanda di salute, e del valore sociale ed economico di una innovazione medica – sottolinea Luca Buccoliero, esperto di management sanitario e marketing sanitario all’Università Bocconi, nel suo intervento in occasione del primo Convegno nazionale sul piede torto congenito che si è svolto a Milano lo scorso ottobre (on line è possibile riascoltarne le relazioni su Youtube) -. Parlare di marketing in sanità può fare rabbrividire, ma in questo particolare ambito si tratta di riflettere sulle esigenze del cittadino che bussa alla porta di una struttura sanitaria per avere una diagnosi o una terapia. Se l’efficacia clinica del metodo Ponseti è ormai riconosciuta a livello di letteratura scientifica internazionale, non altrettanto – sottolinea lo studioso – è il suo valore economico, in termini di risparmio per il Servizio sanitario nazionale rispetto ai tradizionali metodi chirurgici, ancora poco codificato da specifici studi osservazionali. Il caso del metodo Ponseti dovrebbe, invece, invitarci a riflettere – conclude Buccoliero nella sua relazione – sul fatto che in una logica di marketing applicato alla sanità è sempre più inevitabile indossare i panni del cittadino, quando si tratta di ottimizzare un servizio sanitario, e chiedersi quali sono i suoi bisogni e i suoi desideri”.

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