Il Pd di Matteo Renzi ha prosciugato Scelta civica, ma non ha preso un numero consistente di voti da M5s e Pdl. I voti che Berlusconi e Grillo hanno perso per strada sono finiti nell’astensione. E’ questa, in estrema sintesi, l’analisi dei flussi elettorali svolta dall’Istituto Cattaneo sul travaso dei voti fra le europee di domenica e le politiche dello scorso anno. Travaso consistente, dato che il Pd ha guadagnato in un anno due milioni e mezzo di voti e il Movimento 5 stelle ne ha persi tre milioni.

Il vincitore incontrastato della competizione, il Partito democratico, ha guadagnato 3.183.262 voti rispetto alle europee del 2009, “tuttavia ha significativamente incrementato anche i voti del 2013”, aumentati di 2.513.716 unità. In termini percentuali la crescita è del 29% rispetto alle scorse politiche e del 40% rispetto alle europee di cinque anni fa.

Il Pd, notano i ricercatori, è avanzato rispetto al 2014, “in tutte le regioni (tranne in Sardegna -6,1%) ed è primo partito in tutte le regioni nonché in testa in tutte le province italiane , tranne tre (Bolzano, Isernia e Sondrio)”. Da notare gli exploit in molte province del profondo Nord, con percentuali più che raddoppiate rispetto al 2009 a Como e a Bergamo e con una crescita di oltre il 50% rispetto al 2013 a Verona e a Vicenza. In media, gli incrementi sono più contenuti al centrosud, e in netto declino in tutte le province sarde (vedi tabella A).

I ricercatori dell’istituto bolognese hanno analizzato, seggio per seggio, i risultati elettorali di undici città di varie aree del paese. Il confronto con le politiche del 2013 tiene naturalmente conto del consistente aumento dell’astensionismo, peraltro tipico delle europee rispetto alle politiche. Il punto, però, è che “non tutti i partiti ne hanno sofferto in egual misura, e alcuni sembrano non averne sofferto affatto”.

La “stanchezza elettorale” del Movimento 5 Stelle – così la definiscono i ricercatori – è in parte spiegata dalla “ripresa della Lega nord“, ma ha pesato anche l’effetto “mancate promesse che l’assenza dal governo inevitabilmente genera”. Quanto al Pd, i ricercatori del Cattaneo registrano un evidente effetto Renzi, “o meglio un effetto leadership” che, rivela l’analisi dei flussi, non solo ha chiamato al voto i potenziali astensionisti che nel 2013 votarono dem, ma anche i “governisti” in cerca di stabilità che l’anno scorso si erano affidati a Mario Monti.

 

Il Movimento 5 Stelle cala considerevolmente in tutte le regioni rispetto a un anno fa, con le punte più consistenti in Sicilia (-46,8%), Friuli-Venezia Giulia (-44,9%), Trentino-Alto Adige (-42,7%), Toscana (-40,6%) (vedi tabelle 1-2).

E’ l’esatto contrario di quanto successo in Forza Italia, al netto della fine del Pdl e della scissione dell’Ncd. Il partito soffre l’astensione “molto plausibilmente” per “l’assenza di una leadership”. E’ vero che Silvio Berlusconi si è speso il più possibile in campagna elettorale, ma “il suo status di non elettore e non eleggibile ha probabilmente pesato sulla ri-mobilitazione dell’elettorato forzista da sempre molto attento all’influenza del capo”.

Quanto alla Lega, secondo questa analisi è prematuro parlare di un “effetto Salvini” dietro la risalita di un partito che dopo gli scandali dell’era Bossi ha rischiato la sopravvivenza: “La transizione da Bossi pare essersi compiuta, e una parte delle ragioni del buon risultato leghista (almeno se comparato con il 2013) è da rimandare alla capacità di ri-mobilitazione indotta dalla segreteria Salvini, dalla radicalizzazione sui temi della crisi economica, e dalla contrazione di consensi in uscita verso il M5s. Cui va aggiunta la grande fedeltà elettorale dell’elettorato leghista storico”.

La sconfitta del centrodestra è spalmata tra tutte le regioni italiane. Forza Italia e Ncd, che insieme componevano fino alle scorse politiche la corazzata del Pdl, rispetto alle politiche perdono la metà tonda dei voti in Sardegna e oltre il 46 in Trentino-Alto Adige, mentre il calo rispetto alle europee del 2009 supera il 60% in ben sei regioni, tra le quali la Liguria e diverse centrali, a partire dalla Toscana (vedi tabelle 3-4).

E la lista Tsipras? I ricercatori registrano il paradosso per il quale c’è voluto un leader greco, Alexis Tsipras, per “superare la sindrome del cartello elettorale che dal 2008 affligge la sinistra”. Perché “grazie alla principale compente della lista che prende il nome dall’esponente politico ellenico a capo si Syriza, ossia a Sel, è stato, per il momento, arrestato il declino elettorale dell’area politica a sinistra del Partito democratico”. Anche la lista Tsipras, secondo i ricercatori del Cattaneo, ha recuperato parte dei consensi finiti a Beppe Grillo: “La mobilitazione delle ultime settimane ha plausibilmente ri-motivato parte dell’elettorato astenuto alle scorse politiche o che aveva optato per il Movimento 5 stelle”. Dal punto di vista della distribuzione gografica, la Lista Tsipras registra il miglior incremento in Lombardia (+27,3%) e in generale nel Nord, mentre perde al sud e soprattutto in Puglia. Nella regione retta dal leader di Sel Nichi Vendola, l’isttuto Cattaneo valuta un calo del 51,5% rispetto alle politiche del 2013 (vedi tabella 5).

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