Banche e finanza, grandi aziende farmaceutiche, colossi dell’industria alimentare o del tabacco, ma anche giganti della tecnologia e del web come Google, Yahoo o Apple. Sono circa 3.000 le cosiddette lobby – o forse sarebbe più chiaro chiamarle ‘gruppi di interesse’ – che fanno pressione sull’Europa e sulle sue strutture legislative, Parlamento per primo, che regolano la vita di mezzo miliardo di consumatori nel Vecchio Continente. Attraverso la presenza di un esercito di lobbisti, stimati in circa 30.000 dal Corporate Europe Observatory, le lobby provano a modificare l’iter di una legge, soprattutto nel passaggio decisivo, quello attraverso le commissioni parlamentari di Bruxelles. E ci riescono, a quanto sembra, in circa il 75% dei casi. Ufficialmente questi gruppi di interessi agiscono presentando dossier agli eurodeputati, organizzando convegni informativi, cene, aperitivi. I regali che un tempo venivano fatti ai parlamentari sono stati vietati già da un po’ dopo una serie di scandali. Esiste il cosiddetto “registro della trasparenza”, attraverso cui l’attività dei gruppi di interesse dovrebbe venire alla luce. Ma perché l’iscrizione al registro è solo facoltativa?

È ciò che si chiedono a Transparency International ong che si batte per una maggiore chiarezza del rapporto tra politica e affari. “Il Parlamento non è riuscito a convincere le altre istituzioni europee dell’obbligatorietà del registro. Per questo noi cittadini non possiamo mai sapere quando un eurodeputato ha un incontro con i lobbisti, o quali input riceve da parte sua”, spiega Ronny Patz dell’ufficio di Transparency a Bruxelles.

“Da parte nostra abbiamo invece chiesto l’introduzione di un’‘impronta’ che possa tracciare il percorso” che va dal lobbista al legislatore. I gruppi di interesse, continua Ronny, esistono in tutto il mondo, e fare lobby non è un male di per sé. Ammesso però che si tratti di un’attività svolta in modo etico e il più possibile controllabile. Per questo servono regole: “Le nostre ricerche mostrano come rimangono significativi i rischi di corruzione. La causa risiede nella mancanza di regole precise riguardo alle lobby come anche in un’assenza di supervisione dei conflitti di interesse dei parlamentari. Insomma, il malaffare è presente nei singoli parlamenti nazionali come in quello europeo”, non si scappa. Tra l’altro Strasburgo è diventata tanto più bersaglio dei gruppi di interesse quanto più, durante gli anni, ha accresciuto il proprio potere. E come ha detto Heter Grabbe di Open Society – la fondazione di Soros – c’è il rischio che l’europarlamento assomigli maledettamente da vicino a una congrega di lobbisti.

Il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2014

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