Che la partecipazione di Grillo a Porta a Porta sia stata un successo è ormai evidente. Lo è stato per Vespa, che ha costruito un vero e proprio spettacolo politico e che ha potuto registrare un successo di pubblico forse mai avuto. Ma lo è stato anche per Grillo, visto che si vota tra pochi giorni e che la presenza nello studio di Raiuno gli ha permesso di rivolgersi a un pubblico che in genere non frequenta. Per quel pubblico, al termine dell’intervista, è rimasto un signore arrabbiato ma non disperato, certamente lontano dal “moderno Hitler” surrealmente adombrato dagli editorialisti della grande stampa, distante dall’attuale classe politica, con un messaggio diretto e, non a caso, ripetuto più volte: “Noi facciamo quello che diciamo, gli altri non sono coerenti”.

Nell’intervista, però, pressato da un Vespa riscopertosi giornalista e chiamato a rispondere sul “che fare”, Grillo ha regalato alcune ipotesi più chiare del proprio progetto politico. Non che il M5S non abbia da tempo un programma politico e anche per le Europee i 7 punti sono noti da tempo. Ma in politica, spesso, i programmi vanno oltre i compitini ben scritti sulla carta e obbligano a fornire risposte efficaci a problemi presenti. Ripercorrendo le risposte date da Grillo il quadro è più chiaro.

Sull’immigrazione, ad esempio, l’ex comico ha ammesso di pensarla “come Alfano” spiegando che il problema non si risolve in Italia ma “a livello europeo“. Ha sostenuto il diritto d’asilo ma ha lasciato intendere che il problema fondamentale resta quello di controllare le partenze degli immigrati – “con il satellite è possibile” – per, eventualmente, bloccarli lì o, comunque, stabilire con quali mezzi riescano a partire. Una risposta che, complessivamente, non si distanzia dalla maggior parte delle soluzioni politiche proposte in Europa.

Sul lavoro, invece, non ha demonizzato la “flessibilità” a condizione che sia messa in relazione all’esistenza di un reddito garantito o di cittadinanza. Lo schema potrebbe ricordare il sistema danese caro a Pietro Ichino con diritti minimi sul piano del lavoro e garanzie estese sul piano del reddito. Grillo conferma la cifra di 19 miliardi per finanziare un reddito di cittadinanza di circa 800 euro mensili ma finora non spiega dove si trovino le risorse. “I soldi li trovo” ha detto con nettezza ma si è limitato a indicare le spese militari – 27 miliardi di cui però la stragrande maggioranza non è fatta di F35 – e i costi della politica. Su questo punto, resta un grande margine di ambiguità.

Il settore, però, in cui le proposte “grilline” continuano ad avere una maggiore riconoscibilità si conferma quello ambientalista, delle grandi opere o infrastrutture. Grillo ha scelto, anche qui, un profilo meno estremista ammettendo di propendere per una “decrescita moderata”. Ha ribadito una posizione molto chiara contro l’Expo e a favore del suo annullamento (è l’unico a proporlo), contro gli inceneritori e per una nuova politica dei rifiuti ribadendo che su questo piano il M5S ha forse le idee più innovative. Sul piano economico, invece, poco e niente tranne le dettagliate risposte offerte da Gianroberto Casaleggio a Marco Travaglio nell’intervista concessa al Fatto quotidiano che esprimono una posizione di impianto liberista basata sull’idea che lo sviluppo è garantito solo dalle maggiori libertà e concessioni offerte alle imprese (facilitazioni fiscali, riduzione costo del lavoro, adempimenti burocratici, etc.).

Rispondendo alla domanda chiave postagli da Bruno Vespa – “puntate al governo? Per fare che?” – la risposta non è stata economica ma morale: “Per non rubare più”. Dopo venti anni, quindi, Grillo rilancia la spinta di Tangentopoli, recupera le idee di Di Pietro e di quel filone che ha costituito una promessa importante di modernizzazione del sistema-Italia senza mettere in discussione il sistema economico-sociale: “Mettiamo le persone oneste al posto giusto e creiamo un circolo virtuoso”. La moralità della cosa pubblica vista come una condizione di sviluppo economico, di risparmio delle risorse pubbliche garantito da uno Stato finalmente virtuoso.

Grillo ha sempre detto che il M5S non è di destra né di sinistra ma “oltre”. Affermazione che può voler dire molte cose. Il posizionamento in questa campagna elettorale costruisce il profilo di quella terza forza non riconducibile al centro-sinistra o al centro-destra, che si è già affermata elettoralmente alle politiche. Grillo non vuole farsi schiacciare sulle estreme populiste e razziste che trionfano in altri paesi. I filoni privilegiati sono almeno quattro: il liberale, l’ambientalista, il legalitario con dosi di protezionismo nazionale (“le nostre aziende, i nostri prodotti”). E con quel populismo derivante dal leaderismo spinto da cui non è immune neanche Matteo Renzi. Difficile dare un nome a tutto questo: in futuro si chiamerà, probabilmente, “grillismo” o qualcosa del genere così come il berlusconismo è stato generato dal proprio fondatore.

L’insidia per Renzi dipende, però, da una caratteristica fondamentale: mentre anche lui punta(va) a modernizzare l’Italia, “cambiandone verso” e “rottamando” il vecchio sistema, dopo aver associato il proprio volto alle politiche di austerità, è diventato vecchio in soli tre mesi. Grillo continua a presentarsi come il nuovo assoluto e, a prescindere dalla solidità del proprio programma e della propria identità politica, è questo che ne garantisce, per ora, la forza. Di fronte al fallimento dell’Europa liberista e agli effetti dell’austerity il suo progetto ha così delle possibilità reali. 
Che, però, le sue proposte programmatiche rappresentino davvero un antidoto al pensiero economico dominante, è tutto da dimostrare.
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