Clint Eastwood è stato la disperazione di Sergio Leone. Quando se lo ritrovò davanti fu sconvolto. “Ha un viso d’angelo, è inespressivo, anzi ha due espressioni: una col cappello e una senza. Non è adatto per il mio Joe”. Il regista avrebbe voluto Henry Fonda, ma non ci fu niente da fare. Joe, sigaro e pistola, è il protagonista di Per un pugno di dollari, anno 1964. Cinquant’anni fa. Una pellicola entrata nel mito, che ha permesso alla storia di un genere, il western, di non morire con i classici americani e il volto di John Wayne. Una storia che continua ancora oggi e che ritornerà sul grande schermo in versione restaurata – dal Laboratorio l’immagine ritrovata per Cineteca di Bologna e Unidis Jolly Filma Cannes: sabato prossimo chiuderà il Festival dopo la cerimonia di assegnazione della Palma d’oro, con tanto di presentazione affidata a Quentin Tarantino

Clint Eastwood è stato la disperazione di Leone, ma per pochissimo tempo. Una volta digerita l’assenza di Henry Fonda, con quel giovane biondo sul set, il regista creò una leggenda del cinema con un semplice accorgimento: il sigaro, inseparabile compagno di Joe. “Proprio così – racconta Pier Giorgio Palladino, nipote di Giorgio Papi, produttore, per la Jolly Film, insieme ad Arrigo Colombo nel 1964 – questi almeno sono i racconti di mio nonno ascoltando i quali sono cresciuto. Eastwood negli Stati Uniti faceva cose per la televisione, in quegli anni stava girando una serie, Rawhide, ma era sconosciuto. E l’impatto di Leone con l’attore fu negativo, ma poi le cose cambiarono. Tu non parlare, basta che hai il sigaro in bocca”.

Così è nato il mito. “Poi si è rivelato con gli anni uno straordinario attore e un grande regista”. Clint Eastwood con Per un pugno di dollari guadagnò 13.500 dollari. Nel 1964 già una bella cifra per un comune mortale, ma quasi niente per l’Olimpo del cinema. D’altra parte il cachet di Gian Maria Volonté, Ramon Rojo nel film, era 2 milioni di vecchie lire. Il budget totale era di circa 100 milioni. Non esattamente una grande produzione. Il film si fece. Dopo un’apparizione senza grande fortuna al Festival del Cinema di Sorrento, la pellicola è all’Excelsior, una vecchia sala nel centro di Firenze. È fine agosto e alle prime proiezioni l’Excelsior rimane quasi vuoto. Qui comincia una leggenda nella leggenda, perché una versione della storia, come raccontata in parte dallo stesso Leone, fa riferimento al “passaparola” che, dopo il primo weekend deludente, pian piano fa riempire la sala, tanto da tenere il film per sei mesi consecutivi. Un’altra versione fa riferimento ai commessi viaggiatori, divenuti fan di Per un pugno di dollari nell’attesa tra un treno e l’altro. La versione del produttore Giorgio Papi, raccontata oggi dal nipote Pier Giorgio Palladino, è inedita: “Mio nonno ci ha sempre detto che quel ‘passaparola’ fu comprato all’inizio. Nel senso che mise mano alla tasca e riempì la sala acquistando lui i biglietti e regalandoli, per ben cinque giorni. Passati i quali il passaparola diventò reale e da quel momento il successo di Per un pugno di dollari è stato inarrestabile”. Tanto da arrivare al Festival di Cannes come grande evento di chiusura nel 2014, cinquant’anni dopo.

“Il lavoro di restauro – spiega la vicedirettrice del Laboratorio di Bologna, Elena Tammaccaro – è stato possibile anche grazie a una collaborazione d’eccezione, quella del direttore della fotografia Ennio Guarnieri, che ci ha consentito di riportare i colori alla loro versione originale”. Anche le musiche sono state rimasterizzate, “seguendo le indicazioni dello stesso Ennio Morricone – racconta ancora Palladino – che ne è stato alla fine entusiasta”. A Cannes saranno prioiettati anche gli altri due film della Trilogia del dollaro (sempre restaurati dal Laboratorio l’immagine ritrovata) Per qualche dollaro in più del 1965 e Il buono, il brutto e il cattivo del 1966. Da giugno, per almeno sei settimane, la Trilogia del dollaro di Leone, nella nuova versione restaurata, tornerà anche nelle sale italiane. E adesso Ramon Rojo può morire sputando sangue.

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