Domenica 18 maggio il Giro è partito alla mezza da Lugo di Romagna, dove la bicicletta è pratica popolare, passione e cultura: al teatro Rossini un bravissimo Ivano Marescotti ha portato sabato sera in anteprima il monologo “Bestiale quel Giro d’Italia” di Maurizio Garuti, pedalate a parole che evocano il ciclismo degli albori. Ci sono voluti giusto cento anni prima che la corsa rosa tornasse a Lugo, un’attesa lunga ingiustificatamente un secolo. Il 6 giugno del 1914, infatti, i sopravvissuti di un Giro massacrante, ricordato come il più duro dell’epoca “eroica”, arrivarono dall’Aquila nella città romagnola dopo 429,1 chilometri. Vinse Pierino Albini che correva per la Globo, superò in volata Luigi Lucotti e Carlo Durando. Maglia rosa, allora, era Alfonso Calzolari della Stucchi, un ex garzone bolognese di Vergato. In corsa c’era un certo Costante Girardengo, che sarebbe diventato dopo la Grande Guerra il primo Campionissimo.

Fu, quello del 1914, non solo il più massacrante dei Giri “eroici” – cinque delle otto tappe superavano i 400 chilometri. Fu soprattutto un Giro avvelenato dalle polemiche, dalle scorrettezze, dalle guerre tra sponsor, cioè tra le aziende produttrici di bici che schieravano squadre pronte a tutto. Petit Breton, il grande idolo dei francesi, ebbe per esempio una crisi isterica: non riuscì a cambiare un tubolare. Scagliò la bici in un dirupo e saltò sulla prima macchina che vide. Smise di correre quell’anno: gli toccò andare al fronte. Venne ferito gravemente in battaglia sulle Ardenne nel 1917, morì pochi mesi dopo per i postumi. Aveva 35 anni. Nella tappa da Bari ad Avellino, Calzolari e il gruppo presero ad un bivio la direzione sbagliata. Metà dei corridori sono avvisati da un’auto dell’organizzazione, non quelli che stavano in testa al plotone. Ne approfitta Giuseppe Azzini. Poi si scopre che ha preso una scorciatoia. Nella notte la maglia rosa ritorna sulle spalle di Calzolari. Nella tappa Bari-l’Aquila succede che Azzini scompaia. Se ne perdono le tracce. Viene ritrovato, in stato confusionale, in un fienile. Ha la febbre. Delira. Fatica? O “bomba”?

Quanto alla maglia rosa Calzolari, fu penalizzato di tre delle cinque ore di vantaggio che aveva in classifica generale per avere sfruttato l’appoggio di un’auto nella Salita delle Svolte. L’Unione Velocipedistica Italiana pretese la squalifica, polemizzò con gli organizzatori della Gazzetta dello Sport e considerò vincitore Albini che sfrecciò primo anche sotto lo striscione dell’ultimo traguardo di Milano (il 7 giugno, da Lugo altri 420,3 chilometri). Dovettero trascorrere otto mesi prima che il tribunale desse ragione alla Gazzetta e che il successo di Calzolari fosse confermato.

Tutto ciò lo trovo scritto sulle pareti di una piccola bella mostra multimediale, alle Pescherie della Rocca, “Calzolari, Coppi…”, un godimento per chi ama la piccola grande storia di uno sport che è specchio di un Paese. Mentre i corridori si allineavano per il via, toccava a Franco Cordelli ripassare gli appunti per la presentazione di un libro molto interessante, “L’Italia di mattina. Il romanzo del Giro d’Italia” (Perone editore 2013). Nel frattempo non lontano da Lugo si svolgeva la Nove Colli, una gran fondo amatoriale che quest’anno vedeva in strada oltre dodicimila iscritti, compreso un concorrente venuto dall’Iran. Infine, per capire quanto a Lugo e dintorni il ciclismo sia più di una semplice pratica sportiva o un modo per spostarsi, altro spettacolo teatrale , sempre al Rossini: ”Finisce per A, soliloquio tra Alfonsina Strada, unica donna al Giro d’Italia del 1924, e Gesù”, brillante testo di Eugenio Sideri con Patrizia Bollini e la regia di Gabriele Tesauri. Una storia eccezionale, quella di Alfonsina che volle farsi corridore donna in mezzo ad un plotone di uomini duri e spesso scorretti. Novant’anni fa, fu una sfida memorabile.

La memoria è come l’amore, è racconto di vita e di sentimenti. Il ciclismo è tante cose insieme. In questo Giro 2014 si continua a ricordare l’epopea tragica di Marco Pantani, e stamani, all’alba, gli uomini dell’antidoping hanno svegliatoDiego Ulissi, il vincitore di Viggiano e Montecopiolo, per un prelievo che sa di sospetti.

Il Giro è arrivato a Pian del Falco, sopra Sestola, sulle nevi di Alberto Tomba e di sua sorella Alessia che qui insegna a sciare. Cadel Evans, sempre più simpatico, ha conservato facilmente la maglia rosa. Domenico Pozzovivo, che ha gambe da scalatore e cuore indomito, ha strappato trenta secondi ai rivali ed ora è quarto in classifica. Scarponi sta sempre male. Ivan Basso conciona serenamente del suo pacato Giro come i vecchi del pedale sanno fare, in attesa del canto del cigno. C’era Davide Malacarne in fuga e in testa con l’olandese Pieter Weening, che ha vestito la rosa per quattro giorni al Giro del 2011, vincendo la quinta tappa da Piombino a Orvieto. Volata inconsueta, con mosse da pistard e accenni di surplace. Malacarne è stato infilzato dal lungagnone olandese che ha fatto per una settimana da gregario al compagno Michael Matthews, quando il giovane australiano di Canberra era in rosa. Ora Michael è novantatresimo, a 55’ 52” dal connazionale Evans. Un olandese ha vinto dunque la tappa, un olandese è maglia nera, cioè ultimo: Jetse Bol, che ha già un’ora 52 minuti e 32 secondi di ritardo. L’ho visto raccattare un po’ di ciliegie duroni (le vendevano lungo il percorso della tappa a sei euro il chilo). Nei campi è tempo di fiori di zucca. E di raccolta delle zucchine. L’Emilia Romagna è al top, in Italia, quasi 500mila quintali. Ci accontentiamo di gnocco fritto e lambrusco, culatello e tortellini. Più giù, a un’ora da Sestola, verso Modena e Sassuolo c’è Maranello. Ferrari. Più in là, Maserati e Lamborghini. Il sogno di molti corridori in bicicletta. Lunedì riposo. C’è appunto tempo di sognare.

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